Augusto Novelli, il celebre autore de “L’acqua cheta” e di molte altre popolari commedie in vernacolo fiorentino, nasce a Firenze secondo alcune fonti il 16 gennaio del 1866 o secondo altre il 17 gennaio del 1867, primogenito di Lodovico Novelli, falegname, ed Elisa Casini, casalinga. A causa delle modeste condizioni economiche della famiglia, cui nel corso degli anni si aggiungono altri cinque bambini (Ugo e Maddalena nel 1869, Antonio nel 1874, Ida nel 1879, Giuditta nel 1891), il piccolo Augusto ha la possibilità di frequentare soltanto le prime due classi della scuola elementare, ma in seguito provvede a perfezionare la propria istruzione studiando privatamente come autodidatta.
Durante l’infanzia assiste con assiduità alle cosiddette “stenterellate”, tradizionali rappresentazioni teatrali di carattere popolare che derivano il loro nome dalla famosa maschera fiorentina nata nel Settecento, e che originano nel ragazzo una profonda passione per il mondo dello spettacolo. Nel 1882 scrive la sua prima commedia, “La capanna del veterano”, ma è soltanto nel 1885 che riesce a mettere in scena un suo lavoro teatrale, “Una sfida ai bagni”, che viene riproposto due anni più tardi con il nuovo titolo di “Un campagnolo ai bagni”.
Nel 1888 dirige il giornale satirico “Il vero monello”, dove firma i propri interventi con lo pseudonimo di Novellino. I pungenti articoli che vi compaiono gli attirano le antipatie del governo guidato da Francesco Crispi, che dispone il sequestro di alcuni numeri della testata, ritenuta colpevole di alimentare l’odio tra le diverse classi sociali. Nel 1892 Novelli viene arrestato con l’accusa di reato di stampa e imprigionato nel carcere delle Murate, dove rimane recluso per tredici mesi. Per tutto il periodo della detenzione non cessa di scrivere e dà vita ai primi sperimentali testi in vernacolo, “Il morticino”, del 1893, e “Purgatorio, Inferno e Paradiso”, del 1894.
Nel 1896 sposa Raffaella Giulia Nannini, dalla quale gli nascono le due figlie Zaira, nel 1900, e Vera Enrichetta, nel 1903. L’anno seguente concepisce l’idea di fondare una produzione teatrale interamente basata sul vernacolo fiorentino, e contemporaneamente si fa strada dentro di lui il desiderio di ridare nuova linfa alla tradizione popolare che va assistendo al declino del personaggio a lui tanto caro di Stenterello.
Nel 1908 inaugura un fortunato sodalizio con la compagnia teatrale dell’attore Andrea Niccòli, che nel gennaio di quell’anno rappresenta al Teatro Alfieri di Firenze la commedia in tre atti “L’acqua cheta”. Inizialmente al grande successo riscontrato presso il pubblico non corrisponde un giudizio altrettanto favorevole da parte della stampa specializzata, ma col tempo l’opera diventa anche presso la cerchia ristretta dei critici letterari e teatrali una delle più apprezzate dell’intero repertorio dell’autore. Nel 1920 viene addirittura trasformata in operetta con le musiche di Giuseppe Pietri e le liriche di Angelo Nessi, e con l’avvento della televisione è più volte registrata e trasmessa dalla Rai, sia nella versione in prosa che in quella musicale.
La fruttuosa collaborazione con Niccòli si rivela importantissima per la buona riuscita di numerose commedie in vernacolo quali “Acqua passata”, del 1908, “Casa mia, casa mia…”, ancora del 1908, “L’Ascensione”, del 1909, “L’Ave Maria”, sempre del 1909, ed altre ancora, nelle quali la verace rappresentazione della vita quotidiana popolare offre a Novelli lo spunto per inserire vivaci scene caratterizzate da una efficace comicità, pertinentemente punteggiate da dialoghi arguti e pieni di brio che rimandano alla lingua parlata di tutti i giorni.
Nel gennaio del 1910 l’esistenza dello scrittore viene tragicamente segnata dal suicidio della moglie. A seguito di questo luttuoso avvenimento la sua vena comica perde all’improvviso la consueta brillantezza, lasciando il posto ad un senso di profonda malinconia, come rivela in maniera evidente la commedia amara “Così faceva mio nonno”, scritta in quello stesso anno.
La creatività dell’autore sembra inaridirsi in maniera irrecuperabile, dalla sua penna escono lavori sempre più stanchi, ripetitivi e monotoni, tuttavia dando dimostrazione di una grande forza di volontà Novelli riesce a reagire al profondo stato di prostrazione in cui è caduto da quando ha perso la moglie, e nel 1911 porta in scena con grande successo sia di critica che di pubblico la commedia “Gallina vecchia”, ancora oggi una delle sue opere maggiormente rappresentate, che oltre a costituire l’occasione del suo riscatto professionale gli offre una vasta notorietà a livello nazionale. La fase positiva continua l’anno successivo con “Quando la pera è matura”, ma malgrado gli ottimi risultati raggiunti dai due, il sodalizio tra Andrea Niccòli e Augusto Novelli si esaurisce nel 1916 a causa di una serie di incomprensioni reciproche.
Lo scrittore costituisce in seguito due nuove compagnie, quella del Teatro originale fiorentino prima (1916) e quella della Società teatrale artistica fiorentina poi (1920), e con esse mette in scena le sue ultime commedie, tra le quali si ricordano “Dal dire al fare” (1916), “…e chi vive si dà pace” (1916), “Le… sue prigioni” (1917), “La felicità degli altri” (1924). Si cimenta inoltre nel campo della politica militando nelle fila del Partito socialista, dal quale viene però espulso per le sue idee riformistiche, e sebbene in un secondo momento vi sia riammesso rifiuta in maniera decisa di rientrare al suo interno.
Ritiratosi a vita privata nella sua villa di Carmignano, in località Frigionaia, vi muore il 6 o il 7 novembre del 1927. Con la sua scomparsa arriva al capolinea anche la felice stagione del teatro dialettale fiorentino, che dopo di lui non riesce più ad esprimere nuovi autori in grado di svilupparne e rivitalizzarne il tradizionale repertorio narrativo. (Barbara Prosperi)
Augusto Novelli, autore di tante commedie
Morì nella sua villa a Carmignano
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