La Fiera di Carmignano ha indubbiamente origini antichissime, tuttavia in mancanza di documenti sicuri è impossibile accertarne la data di inizio. Sappiamo che già in epoca medievale all’interno delle mura dell’antico Castello si teneva un mercato a cadenza settimanale, e che per alimentarne lo sviluppo il Comune aveva decretato che venissero erette delle logge antistanti le abitazioni private, affinché l’attività mercantile potesse svolgersi con regolarità anche nei giorni di pioggia; tali logge erano aperte al pubblico, e ai proprietari degli edifici su cui si appoggiavano era fatto espresso divieto di chiuderle per utilizzo personale, così come di chiedere un compenso ai venditori che nel giorno del mercato vi esponevano la loro merce; il tutto allo scopo evidente di favorire la compravendita dei prodotti in un’epoca in cui esistevano oggettive difficoltà di spostamento e le occasioni di effettuare acquisti non erano frequenti.
In tempi meno remoti alla istituzione dei mercati settimanali o mensili fece seguito quella delle fiere annuali, che offrivano una ulteriore e più ampia gamma di mercanzie da porre in vendita, il che dava origine ad una notevole affluenza e di mercanti e di acquirenti. A Carmignano si stabilì che la fiera annuale avesse luogo il 30 di novembre, giorno che il calendario liturgico dedica a Sant’Andrea apostolo, e per questo motivo essa prese il nome di Fiera di Sant’Andrea; successivamente venne denominata anche Fiera dei fichi secchi, poiché in tale ricorrenza venivano venduti i pregiati frutti, o Fiera delle corna, in relazione all’esposizione ed al commercio di capi di bestiame bovini e caprini.
Nel 1704 fu deciso che la durata della fiera fosse estesa da uno a tre giorni, e questo perché la scarsità delle ore di luce ed il maltempo che spesso si associa alla fine di novembre in molti casi finivano per ostacolare l’attività mercantile, a svantaggio sia dei venditori che dei compratori. Inoltre il fatto che la cadenza della manifestazione mutasse ogni anno e potesse quindi verificarsi anche di venerdì creava un ulteriore problema in un momento storico in cui le tradizioni religiose erano particolarmente sentite e partecipate: il venerdì, giorno della morte del Signore, prevedeva infatti l’astinenza dalle carni, ma è evidente che mantenere una tale restrizione risultava particolarmente difficile in un simile contesto, quando in paese giungevano una quantità ed una varietà di prodotti che con ogni probabilità non si sarebbero rivisti fino all’anno successivo. Per ovviare a tale inconveniente nel 1911, anno in cui la ricorrenza comprendeva anche il venerdì, don Francesco Pieralli, parroco di Carmignano, chiese al vescovo di Pistoia la dispensa dal magro per tutta la popolazione, affinché i fedeli non si esponessero al pericolo di guastare la vigilia; il vescovo, comprensivo, accordò la licenza.
Fu dopo la Prima Guerra Mondiale che si stabilì alla fine che la fiera si svolgesse il primo martedì di dicembre – con l’appendice del giorno successivo, cui fu attribuito l’appellativo di “fierino” -, in modo da evitare la continua oscillazione dell’avvenimento.
Poiché all’inizio del secolo scorso i mezzi di trasporto erano molto lenti, i commercianti giungevano in paese la sera della vigilia – che veniva detta “sera dei banchi” – per assicurarsi la possibilità di trovarsi in piazza con le loro bancarelle al primo sorgere del sole. Questa evenienza garantiva ai rivenditori di generi alimentari, ai ristoratori e agli albergatori del paese, nonché alle famiglie contadine della zona, l’occasione di percepire degli introiti che risultavano sicuramente utili all’economia domestica, perché ai primi i mercatanti si rivolgevano per acquistare cibarie di vario tipo, per consumare un pasto caldo o per trascorrere la notte al coperto, mentre alle seconde chiedevano ospitalità soprattutto i commercianti di bestiame, che, dovendo assicurare un alloggio non soltanto a se stessi ma anche agli animali al loro seguito, trovavano riparo nelle stanze, sotto i portici, nelle stalle o nei fienili delle abitazioni coloniche.
Il giorno prima della festa anche i negozianti del posto mettevano in mostra un’offerta di mercanzie insolitamente ricca e variegata, al fine di attrarre l’attenzione di grandi e piccini. I soldi da spendere all’epoca erano veramente pochi, ma anche le persone dalle possibilità economiche più limitate si concedevano l’acquisto di qualche genere di consumo non strettamente necessario. Mentre i desideri dei bambini erano focalizzati su dolci e balocchi, gli adulti osavano concedersi un capo di abbigliamento, un paio di scarpe, un ombrello. Mauro Bindi, detentore di tante memorie del paese, ricorda che un “veggiolo” (cioè uno scaldino) nuovo di zecca regalato da un giovanotto alla sua fidanzata costituiva un dono molto ambito ed apprezzato.
Tra i prodotti gastronomici caratteristici della fiera figuravano senz’altro le bruciate (ovvero le caldarroste), i castagnacci e i fichi secchi; ad ogni modo non si deve credere che per gli agricoltori del tempo la vendita di questi ultimi durante la fiera rappresentasse una priorità, in quanto a quella data le famiglie coloniche e le fattorie del comprensorio avevano già smerciato a buon prezzo la maggior parte del prodotto ai mercati e ai negozi ortofrutticoli di Firenze, Prato e Pistoia; i frutti presentati alla fiera risultavano quindi una giacenza, anche se particolarmente richiesta e gradita.
Nei giorni della festa banchi, giochi ed attrazioni di vario tipo offrivano momenti di svago e di divertimento a tutte le fasce della popolazione: oltre ai tirassegno, alle giostre e al teatro dei burattini era principalmente il circo ad attirare l’attenzione di grandi e piccini; all’epoca quello offerto dalle compagnie circensi era uno spettacolo davvero insolito e straordinario, una autentica rarità di cui il pubblico carmignanese poteva fruire unicamente in questa particolare circostanza ed una sola volta all’anno.
Il ruolo di primo piano però spettava più che altro ai commercianti di bestiame, giacché non dobbiamo dimenticare che la Fiera di Carmignano era prevalentemente un importante mercato agricolo durante il quale era possibile vendere ed acquistare equini, bovini, ovini, caprini e suini. A quei tempi bastava una stretta di mano per sugellare un affare. Alcuni acquirenti aspettavano il “fierino” per comprare il maialino da allevare, dato che il giorno successivo alla grande fiera era relativamente facile procurarsi a prezzo minorato un animale che in qualche modo costituiva una rimanenza, che peraltro il proprietario aveva tutto l’interesse a smerciare piuttosto che a lasciare invenduta.
L’importanza e il rilievo della Fiera di Carmignano era testimoniata dall’enorme affluenza di persone – mercanti e clienti – che conveniva in paese da tutto il circondario: dal pistoiese e dal pratese, dal fiorentino e dall’empolese, oltre che ovviamente dai piccoli centri più prossimi al luogo. La manifestazione iniziò a perdere gradualmente forza soprattutto a partire dal secondo dopoguerra, e sempre di più a mano a mano che declinavano le attività agricole e aumentavano i mezzi di trasporto che erano in grado di garantire un più facile accesso a tutti i tipi di mercato. Nonostante ciò, il prestigio che ancora oggi possiedono alcune eccellenze enogastronomiche del territorio – i vini doc e docg, l’olio d’oliva, i fichi secchi – riescono a richiamare sempre un elevato numero di estimatori nelle giornate che tuttora il Comune e la Pro loco dedicano all’Antica Fiera di Carmignano. (Barbara Prosperi)
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Le informazioni contenute in questo articolo sono desunte in gran parte dal libro di Giuseppe Mauro Bindi, “Fatti e persone del XX secolo nei ricordi di un anziano”, pubblicato nel 2014 a cura del Gruppo d’Incontri “Il Campano” per i tipi delle Edizioni Nuova Prhomos di Città di Castello.
Mauro BIndi è improvvisamente scomparso il 5 dicembre 2015