L’abbazia di San Giusto, dichiarata monumento nazionale nel 1979, deputata a fare il suo ingresso nel FAI come uno dei Luoghi del cuore del 2016, non è soltanto una chiesa che può vantare un vissuto storico lungo ed importante, ma anche un edificio particolarmente pregevole ed interessante dal punto di vista architettonico. E’ considerato uno degli esemplari più belli dell’architettura romanica cistercense presenti in Toscana, e viene citato in numerosi manuali di Storia dell’arte per la sua indubbia rilevanza.
Anche se esistono pareri discordanti, secondo i quali la datazione dell’edificazione dell’abbazia oscilla dal X al XIII secolo, per la maggior parte degli studiosi i lavori della struttura principale hanno avuto inizio entro la metà del Millecento, partendo dalla parte absidale verso la facciata. Per la costruzione sono stati utilizzati materiali perlopiù reperiti in loco, quali pietra arenaria e marmi tipici della zona.
La stretta facciata è costituita da blocchi regolari di notevole taglia nella fascia basamentale, connessi da sottilissimi strati di malta. L’archivolto del portale è animato da un semplice ma efficace gioco cromatico, ottenuto dall’alternanza del marmo bianco con il serpentino verde di Prato, un tratto stilistico di chiara derivazione pisana e pistoiese, presente anche sulla piccola bifora sovrastante.
Il fianco sinistro conserva buona parte del paramento originario in ottimo stato di conservazione, con alcune bozze monumentali di taglio particolarmente curato. Su di esso è stata inserita in una data imprecisata una piccola testa scolpita che secondo la tradizione popolare guarda nella direzione in cui si trova nascosto il leggendario tesoro di Carlo Magno.
Tra la fiancata ed il transetto si erge il possente campanile, che con ogni probabilità fu edificato in una seconda fase. Esso presenta un rivestimento meno rifinito, con pietre di dimensioni più piccole lavorate in maniera sommaria. Un collegamento aereo permette di accedervi dal transetto della chiesa. Nell’Ottocento il coronamento venne abbattuto e le aperture della cella furono tamponate, accentuando così l’aspetto di massiccio torrione della struttura.
Si dice che anticamente sul far del tramonto una delle sue campane, denominata la “Sperduta”, facesse sentire i suoi rintocchi per guidare i viandanti e i pellegrini che attraversavano i boschi del Montalbano. Per quanti ancora si trovavano lungo la strada l’abbazia costituiva un rifugio sicuro, pertanto era premura dei chierici che vi albergavano chiamare i viaggiatori a raccolta prima che calassero le tenebre e il territorio diventasse campo aperto per fiere e briganti.
La parete sinistra del transetto fino ad una certa altezza presenta blocchi regolari, scanalati con sottili fasce orizzontali in modesto rilievo, sostituite ad un determinato punto da conci ben rifiniti ma lisci ed infine da materiale più minuto sbozzato in modo grossolano, segno evidente di un rifacimento di epoca successiva, quando a seguito di un crollo strutturale verificatosi nel XIII secolo venne effettuato il rialzamento della copertura dell’edificio, testimoniato peraltro da una cornice in pietra che ne documenta il primitivo livello.
La zona posteriore, parimenti rimaneggiata nel coronamento, è una vasta superficie caratterizzata dall’animazione ad essa conferita dal volume delle tre absidi, non contigue ma divise l’una dall’altra, con copertura conica risalente al XIII o al XIV secolo, e un doppio ordine di monofore che servono a dare luce alla chiesa ed alla cripta sottostante.
La parete destra del transetto è stata in buona parte riedificata nel Duecento. Alcune mensole lignee emergenti dalla muratura hanno suggerito l’ipotesi che potessero costituire i sostegni per un loggiato anch’esso di legno. Sull’angolo prossimo al fianco destro della navata si apre nel transetto il portale architravato, con archivolto ad arco rialzato, che consente l’accesso alla cripta.
Vicina ad esso, lungo la fiancata, si trova un’apertura analoga che conduce invece all’interno dell’abbazia. Sia il pietrame di quest’ultimo portale che la parete sulla quale esso si inserisce sono stati più volte oggetto di rifacimenti e restauri, l’ultimo dei quali eseguito nel secondo dopoguerra, e mantengono ormai il paramento originario solo nella parte inferiore.
Al suo interno la chiesa mostra in maniera evidente gli influssi dell’architettura monastica cluniacense e del romanico di impronta provenzale e spagnola, palesi nell’alta, lunga e stretta navata, coperta in origine da una volta a botte, sostituita in seguito da capriate lignee, e nel presbiterio potentemente elevato. Allo stato attuale solamente la porzione finale della navata, antistante al transetto, conserva la vecchia copertura a botte. Alcuni tra i pilastri e le semicolonne sono stati ricostruiti nel dopoguerra sulla scorta di quelli antichi.
La cripta, l’unico esemplare esistente su tutto il territorio, alla quale si può accedere soltanto dall’esterno, è stata pesantemente trasformata dall’intervento effettuato presumibilmente nel XIII secolo. Esso ha comportato il rifacimento delle coperture, sostituite dalle attuali volte a crociera, particolarmente rozze e pesanti, più basse di quelle originali, sostenute da pilastri quadrangolari di dimensioni variabili e da una corta colonna munita di basamento posta al centro dell’abside (Barbara Prosperi)