Di fronte all’ingresso principale del cimitero di Carmignano, esattamente al centro di un verde quadrivio, c’è un piccolo monumento funebre che commemora quattro compaesani caduti durante la Resistenza: accanto ai nomi dei fratelli Bogardo e Alighiero Buricchi e di Bruno Spinelli, morti nel celebre attentato che ebbe luogo presso il dinamitificio Nobel l’11 giugno 1944, compare quello di Mauro Chiti, che il 17 aprile di quello stesso anno perse la vita in un’imboscata tesa dai nazifascisti nel borgo rurale di Berceto, nelle vicinanze di Pomino, nel Comune di Rufina, in Val di Sieve. Mentre i primi tre, insieme ad Ariodante Naldi, nativo di Poggio alla Malva, vengono ricordati tutti gli anni in occasione delle celebrazioni dedicate alla ricorrenza del tragico avvenimento che li vide protagonisti, su Chiti da molto tempo è caduto l’oblio. Questo probabilmente è dovuto al fatto che il giovane fu ucciso lontano dalla sua terra, e che nella sua breve esperienza di partigiano non prese parte ad una azione eclatante come quella che misero in atto Buricchi e i suoi compagni, tuttavia anch’egli sacrificò la propria vita per la libertà della patria ed è giusto rendergli omaggio ripercorrendone la storia, ricostruendo una vicenda che per molti carmignanesi è poco nota o del tutto sconosciuta.
Mauro Chiti era nato a Carmignano il 4 gennaio 1925, secondogenito di Oreste Chiti e Giovanna Fantini, che abitavano nella parte del paese denominata “I Renacci”, lungo la via Pistoiese che collega il capoluogo con la frazione di Seano. Il padre esercitava la professione di stradino per il Comune di Carmignano, aveva preso parte alla Prima Guerra Mondiale, uscendone prostrato nel corpo e nello spirito, e per questo motivo aveva sviluppato una marcata ostilità nei confronti dei conflitti bellici e dei regimi militaristi. Mauro era un bel ragazzo, di media statura, e a detta di chi lo ha conosciuto possedeva un fascino speciale, un carisma che lo rendeva particolarmente interessante e gli consentiva di primeggiare nel gruppo dei suoi coetanei. “In tutte le compagnie c’è sempre qualcuno che per le sue caratteristiche si impone sul resto degli amici – racconta il cugino Sergio Spinelli, classe 1933, operaio tessile in pensione -, e Mauro disponeva di un’attrattiva che gli aveva guadagnato il ruolo di leader indiscusso”. Era un giovane vivace, sveglio, intelligente, e sebbene avesse frequentato solo la scuola elementare aveva ampliato la propria preparazione culturale da autodidatta, dedicandosi presumibilmente alla lettura di testi di indirizzo filomarxista che lo avevano rafforzato nelle sue convinzioni antifasciste. “Mauro aveva un’indole ribelle – prosegue Sergio -, e non tollerava assolutamente la dittatura di Mussolini, verso la quale dimostrava una forte insofferenza ed una avversione profonda”. Nel 1943 maturò quindi la decisione di unirsi al Comitato di Liberazione Nazionale.
Fu probabilmente nei mesi dell’autunno che entrò in contatto con il leggendario Lanciotto Ballerini, un macellaio di Campi Bisenzio che organizzò e diresse una delle più antiche brigate partigiane che si costituirono in Toscana, la I° Formazione Garibaldi, e cadde il 3 gennaio 1944 nella famosa battaglia di Valibona sui monti della Calvana. Al combattimento prese parte anche Guglielmo Tesi, un giovane campigiano che riuscì a scampare alla morte e continuò la sua militanza nelle forze di liberazione. Con quest’ultimo Chiti incrociò la propria strada nei mesi a venire, e insieme a lui trovò la morte nell’eccidio di Berceto. “Non sono in grado di dire con precisione come Mauro si fosse avvicinato alla brigata di Lanciotto – spiega Sergio -, ma immagino che i contatti fossero nati nell’ambiente lavorativo. Mio cugino era occupato come filatore in una grossa azienda tessile pratese, nella quale confluiva tanta manodopera dalle zone di Sesto e di Campi, e a mio parere fu proprio tra i colleghi di reparto che trovò il modo di agganciarsi a Ballerini”. Prima che l’anno si chiudesse il giovane abbandonò Carmignano per entrare nella Resistenza. “Ricordo ancora quando se ne andò – rammenta Spinelli, che all’epoca era soltanto un bambino -. Prese la sua bicicletta, salì in sella e partì pieno di speranza verso la sua avventura. Aveva diciott’anni. Da allora non lo vedemmo mai più”.
Non si conosce molto delle azioni in cui fu impegnato Chiti, e non è facile rintracciare con esattezza le tappe dei suoi spostamenti, tuttavia è noto che nell’aprile del 1944 si trovava in Val di Sieve. Dall’inizio del mese gli uomini della Divisione Hermann Göring erano impegnati sui rilievi dei monti Morello, Falterona, Giovi e nell’area del Casentino in una grande operazione di rastrellamento antipartigiano, nel corso della quale si stavano lasciando alle spalle un alto numero di vittime. Il giorno 17, lunedì di Pasqua, i soldati tedeschi entrarono nel Comune di Rufina, nel Mugello fiorentino. Nelle prime ore del mattino sette partigiani appartenenti al gruppo comandato da Pietrino Corsinovi, tra i quali figuravano Mauro Chiti e Guglielmo Tesi, giunsero stremati dopo una lunga marcia in un podere di Berceto, non lontano da Pomino, e chiesero ospitalità alla famiglia di contadini che vi abitava. Il capofamiglia, Lazzaro Vangelisti, non ebbe il cuore di rifiutare loro riparo e ristoro, li invitò ad accomodarsi in una capanna poco distante dall’abitazione, e raccomandò loro di ripartire non appena avessero ripreso le forze, per non esporre ad inutili rischi la sua famiglia e i suoi vicini. Ad un certo punto però Vangelisti si accorse che stava accadendo qualcosa di poco chiaro.
Poiché infatti le ore passavano e i partigiani non accennavano a rimettersi in viaggio, indugiando anzi in maniera tale da comunicare la netta sensazione che intendessero perdere tempo, l’uomo si presentò alla capanna per sollecitarli a partire. Due di loro, Chiti e Tesi, si dissero d’accordo con il loro ospite e si prepararono a riprendere il cammino, ma il resto del gruppo impose con le armi la volontà di rimanere sul posto. Di lì a poco un manipolo di militari tedeschi piombò sul podere, raggiunse a colpo sicuro il luogo dove si trovavano i partigiani e fucilò Mauro Chiti e Guglielmo Tesi, mentre gli altri si allontanarono incolumi. Si trattava in realtà di spie repubblichine che si erano infiltrate nella brigata ed avevano tradito i compagni, indicando ai soldati nazisti dove avrebbero potuto trovare ed uccidere alcuni esponenti del Comitato di Liberazione Nazionale. Oltre ai due giovani, entrambi diciannovenni, i tedeschi trucidarono per rappresaglia nove civili: Giulia Alinari, di quarantasei anni, moglie di Lazzaro Vangelisti, e le loro figlie Bruna, di ventitré, Angiolina, di ventidue, Iole, di otto, e Anna, di due; Alessandro Ebicci, di settantotto, e la nuora Isola Geri, di quarantanove; e infine Fabio Soldeti, di ottantuno, e la nipote Iolanda, di diciannove. Dopo aver consumato la strage i nazisti appiccarono il fuoco alla capanna e alla casa della famiglia Vangelisti e alle abitazioni limitrofe degli Ebicci e dei Soldeti.
I resti delle vittime furono seppelliti sul posto, e per diverso tempo i genitori di Mauro ignorarono la sorte toccata al figlio. La notizia del suo assassinio li raggiunse quasi contemporaneamente a quella del decesso del primogenito Natale, venuto alla luce nel 1923, che dopo aver combattuto in Grecia era stato deportato in un campo di prigionia situato nell’alta Germania, dove aveva trovato la morte. “Ecco cosa ci ha portato il fascismo – confidarono i due coniugi a Lazzaro Vangelisti, che andò a trovarli per raccontare loro la verità sulla fine del giovane -. Noi avevamo due figli. Uno è morto al fronte e uno è morto nei partigiani. Non sappiamo né come né dove sono morti. Sono morti nel fiore dell’età, lontano da noi. Non sappiamo in quali mani abbiano finito la loro agonia. Non ci può essere dolore più acuto di un genitore che perde i figli così. Resta una ferita nel cuore che non guarisce mai”.
Sia il Comune di Carmignano che quello di Rufina hanno provveduto negli anni a ricordare il sacrificio di Mauro Chiti: il primo gli ha intitolato una strada e lo ha menzionato nel già citato cippo posto nel cimitero del paese, oltre che sulla lapide affissa sulla facciata del municipio dedicata ai concittadini caduti nella Resistenza, il secondo lo ha citato insieme alle altre dieci vittime dell’eccidio su due targhe ed un monumento funebre ubicati nel borgo di Berceto. In concomitanza con le manifestazioni legate al 25 aprile l’amministrazione comunale di Rufina ha poi invitato nel 2016 il sindaco uscente di Carmignano, Doriano Cirri, a presenziare ad una cerimonia ufficiale durante la quale è stata apposta un’iscrizione commemorativa sui ruderi della capanna all’interno della quale Chiti venne fucilato. “E’ stata una celebrazione molto toccante – ha dichiarato Cirri al ritorno dall’avvenimento -. Il mio auspicio è che questo ulteriore riconoscimento conferito al valore di Mauro Chiti contribuisca a riaccendere l’interesse sulla sua vicenda e a far conoscere meglio la sua figura di partigiano ai suoi compaesani”. E dopo aver riacceso i riflettori su Sergio Sorri, l’ANPI di Carmignano – secondo le anticipazioni fornite da Emanuele Boanini – è ora intenzionata ad organizzare una serie di iniziative volte a ridare visibilità anche a Chiti. (Barbara Prosperi)
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