A distanza di anni gli abitanti del borgo di Artimino ricordano con affetto ed una punta di nostalgia la contessa Carolina Sommaruga Maraini, la donna che è stata proprietaria della villa medicea “La Ferdinanda” per circa quaranta anni, nel periodo tra la prima guerra mondiale e il secondo dopoguerra. Il ricordo è principalmente legato allo stile all’avanguardia della contessa ed alle sue attività filantropiche nei confronti del borgo, le migliorarono la vita e le condizioni di coloro che allora ci vivevano e ci lavoravano.
La contessa, che tale non era alla nascita ma lo diventerà più tardi, aveva origini svizzere: era nata infatti a Lugano il 15 giugno 1869 come primogenita di Giacomo e di Maria, nata Fumagalli. Si trasferì in Italia dopo il matrimonio nel 1889 con Emilio Maraini, anche lui svizzero ed imprenditore nel settore saccarifero. Maraini era stato in gioventù a lavorare nei Paesi Bassi e poi in Boemia, dove aveva appreso la coltivazione della barbabietola da zucchero, che decise di portare il Italia rilevando lo zuccherificio di Rieti e diffondendo così questa nuova coltivazione nella pianura reatina. Grazie alle sue attività permise all’Italia di esportare lo zucchero soprattutto nel periodo della prima guerra mondiale. Divenne poi consigliere di Rieti e nel 1900 deputato in Parlamento. Per seguire da vicino la sua impresa e l’incarico politico fece costruire al fratello architetto Otto Maraini una villa, che fu poi la sua residenza, sulle colline romane del Pincio.
Contemporaneamente anche Carolina, che aveva uno stile molto indipendente per l’epoca, si adoperava nelle sue attività filantropiche e benefiche e si impegnò a favore della tutela del lavoro femminile e dell’infanzia. Sul fronte femminile fu vicepresidente del Comitato centrale di Patronato della cooperativa “Industrie femminili italiane” e nel 1903 aprì a Rieti un laboratorio tessile che creò posti di lavoro per circa sessanta operaie. Nel laboratorio fu introdotta una tecnica di ricamo, appresa dalla contessa e nota come “punto ombra”, con la quale furono realizzati numerosi lavori che ebbero successo in Italia e all’estero. Quanto all’infanzia fondò numerose strutture per l’accoglienza e la cura dei bambini ed il preventorio antitubercolare a Roma. Per le sue attività fu premiata con il titolo di contessa nel 1926 da parte di Vittorio Emanuele III.
Gli interessi della famiglia Maraini si estesero anche verso la Toscana, che era allora un territorio prevalentemente agricolo. Nel 1911 i coniugi divennero i proprietari della villa medicea “La Ferdinanda” e della fattoria, vendute dalla famiglia Passerini da Cortona. Grazie al loro intervento la villa, che era caduta in oblio dopo la fine della dinastia dei Medici, risalì la china e recuperò il prestigio perduto. Maraini infatti aveva intenzione di trasformare Artimino in uno dei centri agrari più attivi dell’Italia centrale con importanti lavori e bonifiche, ma morì troppo presto, nel 1916, per vedere realizzato il suo progetto.
In sua memoria fu Carolina a continuare la sua opera ad Artimino pensando al bene della gente del borgo. Si impose infatti di migliorare le condizioni di vita dei contadini e quelle agricole della tenuta e di provvedere all’educazione dei bambini e dei giovani. Per far questo, fondò un asilo infantile nella piazza centrale del borgo, al cui interno avevano sede anche una scuola di cucito e di ricamo ed il doposcuola. Garantì inoltre agli abitanti del borgo l’assistenza medica, facendo venire un dottore da Firenze ogni settimana con ambulatorio gratuito una volta al mese. A livello di arredo urbano ordinò l’illuminazione delle strade, la realizzazione della rete idrica e fece asfaltare la strada che da Comeana risale il poggio e sbuca su via Giovanni XXIII e congiunge il borgo alla villa, visto che aveva difficoltà a percorrere la strada scoscesa con la sua automobile.
Nel 1930 fece eseguire la scala nella facciata posteriore della villa (quella che guarda il borgo e che tutti sbagliano per il fronte dell’edificio, che invece era il lato che si rivolge verso Firenze). La scala fu realizzata sulla base di un disegno originale rinvenuto dall’architetto di fiducia della contessa, Enrico Lusini, presso il Gabinetto delle stampe degli Uffizi. Alcuni anni più tardi, al termine della seconda guerra mondiale, si resero necessari altri restauri a seguito dei bombardamenti che avevano compromesso il tetto e distrutto alcuni camini, la facciata laterale verso la Gonfolina e quella principale. Ad occuparsi dei lavori, che restituirono alla villa il suo antico splendore, furono Ferdinando e Giovanni Poggi, discendenti di Giuseppe, che era stato il progettista dei viali fiorentini e del piazzale Michelangelo.
La contessa morì all’età di novanta anni il 22 gennaio 1959 e la villa passò in eredità alla famiglia Sommaurga, che nel 1964 la vendette all’imprenditore Emilio Riva, che voleva trasformare Artimino in un polo alberghiero con al centro la villa medicea. Vista l’opposizione da parte della Soprintendenza, Riva bandì dopo cinque un’asta per spogliare la proprietà dei suoi arredi. All’epoca si poteva fare. Contestualmente si disfece anche della proprietà, che passò nel 1970 al gruppo Dapelo e poi alla società Artimino S.p.a. che oggi appartiene al gruppo Olmo. (Valentina Cirri)