Il 23 maggio del 1670 Ferdinando II morì e Cosimo ereditò il governo del granducato. Al momento della successione si scatenò un’acerrima competizione tra la nuova granduchessa, Margherita Luisa d’Orléans, e la granduchessa madre, Vittoria della Rovere. Cosimo III, da sempre devotissimo a quest’ultima, la favorì concedendole numerose prerogative, ed escludendo di fatto la moglie dall’amministrazione della cosa pubblica.
A dispetto dell’arrivo del terzo figlio, Gian Gastone, nato il 24 maggio del 1671, Margherita Luisa divenne sempre più insofferente: non si trovava a suo agio nella corte di Toscana, non provava né stima né affetto per il marito con il quale condivideva la propria esistenza, non tollerava la supremazia della suocera nella sfera e politica e familiare.
Nel 1672 Margherita si trasferì nella villa di Poggio a Caiano e comunicò a Cosimo la propria irrevocabile decisione di non tornare più a Palazzo Pitti. Il granduca le inviò una scorta armata, ufficialmente per assicurarle una protezione, in realtà per accertarsi che non tentasse la fuga alla volta della Francia.
Cosimo III in un primo momento cercò di prendere tempo, soppesando attentamente se fosse più grave lo scandalo che sarebbe seguito al rientro della donna a Parigi, oppure il ridicolo che sarebbe scaturito dal suo rifiuto di rimettere piede a palazzo.
Dopo aver lungamente riflettuto ed essersi accuratamente consultato con Luigi XIV, acconsentì infine a che la moglie facesse ritorno a Parigi, dove nel 1675 fu accolta nel convento di Monmartre. Inizialmente Margherita godette di ampia libertà e le fu permesso di frequentare la corte del Re Sole, tuttavia in un secondo momento proprio Luigi XIV le ordinò di non uscire più dal convento, irritato per il comportamento scandaloso tenuto dalla cugina.
Una volta tornata in patria, Margherita Luisa si interessò scarsamente del destino dei propri figli, intrattenendo con loro una corrispondenza epistolare formale e di superficie, come se il fatto di aver messo al mondo tre bambini rientrasse semplicemente negli obblighi legati al suo ruolo di granduchessa e non comportasse anche il dovere di crescerli, educarli ed amarli. Terminò infine i suoi giorni dando segno di una incipiente follia.
Partita la moglie, affidata la cura dei figli principalmente alla madre, Cosimo si concentrò sull’attività politica, cercò consolazione nelle pratiche religiose, e si rifugiò nei piaceri della tavola, una debolezza quest’ultima che nel corso degli anni gli avrebbe causato pesanti problemi di salute.
Circondatosi di una folta schiera di presbiteri, ai quali finì per affidare le più importanti cariche governative, diede vita ad una ostinata persecuzione nei confronti di ebrei, luterani, calvinisti e più in generale di quanti non aderivano al credo cattolico, soppresse molte feste laiche – tra le quali il tradizionale Calendimaggio – ed istituì severe normative in materia di pubblica morale.
Per quanto riguarda la gestione del territorio, si interessò prevalentemente dell’agricoltura, promuovendo ampie campagne di irrigazione e bonifica, mentre in campo culturale patrocinò l’attività del medico, naturalista e letterato Francesco Redi, che nel 1685 pubblicò il celebre ditirambo “Bacco in Toscana”, dove elogiò i più importanti vini regionali, quello di Carmignano in primis.
Complessivamente il suo regno, il più lungo nella storia della Toscana, fu caratterizzato da un forte declino politico ed economico, che forse preludeva all’imminente estinzione della casata medicea, che di lì a poco avrebbe trovato il suo epilogo per mancanza di eredi.
Infatti mentre egli era ancora in vita gli fu chiaro che la sua discendenza non avrebbe prodotto alcun frutto: né Ferdinando, sposato con Violante di Baviera, né Anna Maria Luisa, sposata con Giovanni Guglielmo del Palatinato, né Gian Gastone, sposato con Anna Maria Francesca di Sassonia-Lauenburg, ebbero figli, e Ferdinando addirittura precedette il padre nella tomba nel 1713.
Mosso dalla disperazione, nel 1709 Cosimo III costrinse il fratello Francesco Maria, già avanti negli anni e dalla salute malferma, ad abbandonare l’abito cardinalizio e a contrarre matrimonio con la giovane Eleonora Gonzaga Guastalla, ma neppure da questa breve unione nacquero eredi, e Francesco Maria si spense appena un anno dopo le nozze senza essere riuscito a realizzare il sogno del fratello.
Cosimo morì il 31 ottobre del 1723 all’età di ottantuno anni. Fu il più longevo granduca di Toscana. Venne sepolto come tutti i suoi avi nel complesso ecclesiastico di San Lorenzo a Firenze. Si tramanda che prima di spirare “chiese perdono al popolo non per il suo cattivo governo, ma per il cattivo esempio che egli aveva dato, e gli raccomandò di andare in chiesa e di confessarsi più spesso di quanto avesse fatto lui, che non aveva fatto altro”.
Gli succedette il figlio Gian Gastone, ed alla scomparsa di quest’ultimo, nel 1737, Anna Maria Luisa, cui toccò l’ingrato compito di consegnare la Toscana nelle mani dei Lorena. Con la sua morte, nel 1743, si esaurì definitivamente la dinastia che aveva meravigliato il mondo. (Barbara Prosperi – fine seconda e ultima parte)
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