Leonardo da Vinci è uno degli artisti più noti ed amati del mondo, alcune delle sue opere sono diventate delle vere e proprie icone conosciute ai quattro angoli del pianeta, eppure molti elementi della sua vita rimangono tuttora avvolti nel mistero, a cominciare dall’identità della donna che lo generò. Mentre è accertato che la famiglia paterna di Leonardo traeva le sue origini dalle terre del Montalbano (il nonno era nativo di Vinci e la nonna originaria di Bacchereto), sulla madre non sono mai stati rinvenuti documenti in grado di fare luce sulla sua provenienza. Di recente però uno studioso dell’Università di Chieti e Pescara ha ipotizzato che la donna avesse ascendenze mediorientali, presentando a sostegno della sua affermazione una serie di analisi di laboratorio condotte nel corso di un intenso periodo di lavoro.
“Nachue un mio nipote, figliuolo di ser Piero mio figliuolo, a dì 15 d’aprile, in sabato a ore 3 di notte. Ebbe nome Lionardo. Batezollo prete Piero di Bartolomeo da Vinci, Papino di Nanni Banti, Meo di Tonino, Piero di Malvolto, Nanni di Venzo, Arrigo di Giovanni tedesco, monna Lisa di Domenico di Brettone, monna Antonia di Giuliano, monna Niccolosa del Barna, monna Maria, figliola di Nanni di Venzo, monna Pippa di Previcone”. Grazie a questa memoria, tramandata in un libro contabile dal nonno paterno, Antonio, disponiamo di numerosi dati riguardanti la nascita del futuro artista: ne conosciamo la data – il 15 aprile -, il giorno – un sabato -, l’ora – le 22 e 30 (giacché allora le ore notturne si contavano a partire dall’Ave Maria della sera) -; siamo al corrente del nome del padre – Piero -, di quello del sacerdote che lo battezzò – Piero anch’egli – e perfino di quelli dei cinque padrini e delle cinque madrine che assistettero alla cerimonia, ma sulla madre non possediamo alcuna notizia.
Il primo scritto nel quale viene citata è una portata al catasto del 1457, in cui tra le persone facenti parte del nucleo familiare Antonio elenca la moglie, Lucia, i figli Piero e Francesco, la nuora Albiera, moglie di Piero, ed il nipote “Lionardo, figliuolo di detto ser Piero, non legiptimo, nato di lui e della Chaterina, al presente donna d’Acchattabriga di Piero del Vacca da Vinci, d’anni 5″. Il piccolo infatti non era nato dal matrimonio tra ser Piero e la giovanissima Albiera di Giovanni Amadori, ma da un rapporto precedente alle nozze. Nel 1451, all’epoca in cui fu concepito Leonardo, il giovane si trovava all’inizio di una promettente carriera notarile, e fidanzandosi con Albiera aveva stretto un vantaggioso legame con la famiglia fiorentina degli Amadori, appartenente all’alta borghesia del capoluogo toscano. Nel frattempo, mentre si divideva tra la città del giglio e Vinci, in quest’ultima località aveva avuto con la suddetta Caterina – della quale non sappiamo che il nome – la relazione dalla quale era nato il bambino. Nonostante la sua condizione di illegittimo, egli venne immediatamente riconosciuto e calorosamente festeggiato, come testimonia ad esempio l’alto numero di padrini e madrine – addirittura dieci – presenti al rito del battesimo, ma non per questo ser Piero rinunciò all’imminente matrimonio, segno evidente che la condizione sociale della giovane da cui aveva avuto il figlio non era considerata consona ad un uomo di legge.
Piero da Vinci dunque celebrò le sue nozze con Albiera degli Amadori l’anno stesso in cui venne alla luce Leonardo, mentre Caterina si sposò due anni più tardi con Antonio di Piero Buti detto l'”Accattabriga”, un fornaciaio che possedeva alcuni terreni a pochi chilometri di distanza dal centro del villaggio. Si trattò quasi sicuramente di un matrimonio combinato dal padre di ser Piero, che intese in tal modo riparare alla condotta poco ortodossa tenuta dal figlio assicurando alla ragazza una sistemazione decorosa. Il fatto che Caterina avesse atteso due anni prima di maritarsi si può giustificare considerando che a quei tempi l’allattamento di un neonato durava in media diciotto mesi, dunque è del tutto plausibile che la giovane avesse atteso il momento dello svezzamento per consegnare il piccolo alla famiglia paterna, che da quel momento si occupò di allevarlo ed educarlo. Poiché Piero trascorreva insieme ad Albiera la maggior parte dell’anno a Firenze, dove era assorbito dagli impegni professionali, il compito di crescere il bambino dovette spettare soprattutto ai nonni, ed in particolar modo a monna Lucia. Per il resto non è dato sapere se e quanto Leonardo riuscisse a vedere e a frequentare la madre, che peraltro partorì cinque figli in un breve volgere di anni e fu sicuramente molto impegnata nell’accudire la prole.
Se nella vita del pittore essa fu forse una presenza evanescente, poco assidua nella sua esistenza, oggi il suo nome è tornato prepotentemente alla ribalta, grazie alle impronte digitali appartenute al figlio. Dopo lunghi anni di ricerche effettuate su oltre duecento tracce impresse su una cinquantina di fogli autografi, nei laboratori dell’Istituto di Antropologia dell’Università di Chieti e Pescara, grazie a sofisticate indagini di tipo dattiloscopico, è stata ricostruita la trama integrale di un polpastrello del genio di Vinci – con ogni probabilità l’indice della mano sinistra -. Il dermatoglifo (cioè il disegno dei solchi cutanei presenti sul polpastrello) emerso in tale occasione ha rivelato caratteristiche tipiche della popolazione araba, presenti nei due terzi delle varie etnie mediorientali. “Sulle pagine e sui dipinti di Leonardo – ha spiegato il professor Luigi Capasso, direttore del Museo di Storia delle Scienze Biomediche dell’ateneo abruzzese – possiamo trovare tantissime tracce, non necessariamente dell’epoca, come per esempio macchie, aloni e residui biologici. Il nostro primo compito è stato quello di distinguere le tracce sincroniche da quelle non sincroniche, dopodiché ci siamo concentrati sulle macchie d’inchiostro, dato che è stato più semplice stabilire se queste derivassero dalla stessa sostanza usata per vergare le frasi”. Proprio nelle macchie d’inchiostro sono state scoperte numerose impronte digitali che, per quanto parziali, hanno permesso la ricostruzione di un intero polpastrello dell’artista.
L’impronta orientaleggiante della trama digitale di Leonardo induce a supporre che nelle sue vene scorresse sangue arabo, e che anziché una popolana del contado di Vinci la madre fosse in realtà una donna venuta da lontano. “A questo punto – ha affermato Alessandro Vezzosi, direttore del Museo Ideale di Vinci, che ha seguito da vicino le varie fasi delle ricerche – si rafforza l’ipotesi che da molto tempo sostengo nei miei studi: che la madre del genio fosse orientale e, nello specifico, una delle tante schiave che nel Quattrocento erano state portate a lavorare in Toscana”. La voce per la verità era già uscita in passato, uno studioso locale aveva anche scandagliato gli archivi storici alla ricerca di contratti che testimoniassero la compravendita degli schiavi, ripercorrendo i vari flussi migratori che avevano introdotto nella regione ebrei, circassi, arabi, ma i risultati non avevano dato esiti. Adesso però il parere espresso dal mondo della ricerca scientifica sembra convalidare quella che fino a ieri era solo una congettura. (Barbara Prosperi)