Quinto Martini non amava definirsi un artista, non aveva chiaro il significato del termine “arte” e chi fossero gli artisti. Nato e cresciuto a Carmignano anche se la vita lo ha portato a vivere pure fuori dalla Toscana, per sempre si è sentito legato alla sua terra e alle persone, umili e semplici, che hanno abitato i luoghi della sua infanzia e che hanno finito per ispirare le sue opere.
“Sotto terra, mi farò terra, come la terra, sentirò, freddo, caldo, pioggia, vento, solo così vivrò, lungo tempo, come la terra”. Sono le parole impresse sulle lapide della tomba nel cimitero di Seano. A sedici anni di distanza dalla sua morte, avvenuta il 9 novembre 1990, la memoria di Martini è ancora viva e mantenuta tale da parte della famiglia e delle persone, che a vario titolo lo hanno conosciuto.
Tra questi ultimi c’è lo storico e critico letterario Mario Richter, che ha restituito una testimonianza intima del primo incontro con Quinto Martini, del quale lo aveva colpito l’aspetto semplice che nascondeva il temperamento di una persona discreta e dignitosa.
L’incontro era avvenuto nel 1975 durante un convegno di studi a cui faceva da cassa di risonanza una mostra dedicata ad Ardengo Soffici, allestita da Franco Russoli a Poggio a Caiano. Nella villa medicea si erano riuniti importanti personaggi, artisti e politici, da Piero Bargellini, Francesco Messina a Giovanni Spadolini, allora ministro dei beni culturali. Messina era un grande affabulatore di folle per le competenze artistiche e per il carattere socievole e loquace. Intorno a lui si era raccolto uno stuolo di persone e tra queste c’era anche Quinto Martini.
Scrive a tal punto Richter rievocando la prima impressione che gli fece l’artista seanese: “C’era accanto a me un uomo dall’atteggiamento particolarmente semplice, spettinato, un po’ trasandato, dall’aspetto piuttosto dimesso (…). Sembrava un operaio in pensione, magari un giardiniere del parco. Ma aveva anche l’aria di un estraneo, di uno che si trovasse lì per caso”.
Richter confessa che all’epoca conosceva sommariamente l’opera di Martini e non attribuì all’incontro la giusta importanza che avrebbe dovuto. Nonostante il suo aspetto semplice, il modo di fare di Martini era talmente magnetico che restò nella memoria del Richter.
Quando Martini parlava di se stesso non lo faceva mai in modo autoreferenziale perché “d’arte un artista ne parla seriamente solo quando la fa”. Non c’era un genere prediletto tra quelli praticati, diceva infatti “quando dipingo penso alla scultura e quando faccio scultura penso alla pittura”.
Non è un caso infatti che le sue opere scultoree, anche quelle esposte nel Parco Museo, siano precedute da disegni o da bozzetti preparatori. Quinto Martini non ha mai cercato definizioni per la sua arte, ha invece parlato delle sue opere come di un diario personale, “forse il vero diario della vita, certamente quello più intimo, più vero e più segreto e di difficile lettura”. Martini voleva lasciare intendere che il suo modo di essere nella vita si rifletteva nel suo modo di fare arte e quindi nelle opere. Il fotografo ed artista Domenico Viggiano, che aveva conosciuto Martini quando frequentava da studente l’Accademia di Belle Arti di Firenze lo ricorda come un uomo particolare.
“Sembrava quasi che gli facesse fatica – ricorda – perché non credeva molto nella possibilità di poter trasmettere le nozioni tecniche, a lui interessava molto di più trasmettere nozioni di vita. Era un uomo che voleva essere capito, amato, rispettato per il suo modo di essere. Il suo modo di operare veniva captato non per quello che lui diceva della scultura ma per quello che lui faceva con la sua scultura”.
Oltre ad essere docente Martini è stato anche uno storico dell’arte, ha conosciuto per interesse l’opera di artisti europei ed avuto rapporti con artisti e letterati fiorentini, che riceveva nel suo studio di Borgo Pinti. Come racconta il poeta fiorentino Sauro Albisani, le occasioni di incontro tra artisti a Firenze erano uno spettacolo emozionante. In particolare Albisani ricorda l’incontro tra il poeta e scrittore Carlo Betocchi e Quinto Martini. “Sono stato testimone per due volte dell’incontro fra Carlo Betocchi e Quinto Martini in occasione della mostra sul tema della pioggia a Palazzo Strozzi. Ricordo che andammo a trovarlo nel suo studio di Borgo Pinti e la cosa più bella era che riuscivano a parlarsi facendo a meno delle parole. Sembravano due uomini capaci di comunicare adoperando quello che Betocchi nel Diario della poesia e della rima chiamava il carissimo silenzio”.
(Valentina Cirri)