La città di Prato vista attraverso lo sguardo di chi abita in campagna: è questo il tema svolto dalla carmignanese Sylva Batisti, una delle due autrici, tra i dieci selezionati per raccontare il vicino capoluogo di provincia, che non vi hanno mai risieduto, pur avendolo praticato assiduamente in passato e praticandolo frequentemente ancora oggi. Per gli abitanti di quello che un tempo veniva definito il contado Prato rappresentava la città dei sogni, del riscatto, della rivincita, tanto per le generazioni dei decenni scorsi che per quelle più recenti: per le prime – simboleggiate nello scritto di Sylva dalla figura di Giuseppe Petracchi, meglio conosciuto come Beppe del Becio, un vecchio agricoltore passato dal campo alla fabbrica, scomparso pochi mesi fa alla ragguardevole età di centotré anni –, incarnava la speranza di un lavoro redditizio, della possibilità di migliorare la condizione economica, di un cambiamento radicale, per le seconde – impersonate invece dalla stessa scrittrice, oggi quarantacinquenne – la prospettiva di ampliare i propri orizzonti e di costruirsi un solido futuro mediante lo studio, la voglia di evadere dagli angusti confini paesani, l’opportunità di accedere a delle forme di svago e di divertimento che sicuramente non erano disponibili nell’ambito provinciale.
Ai nostri giorni Prato offre indubbiamente minori occasioni dal punto di vista lavorativo, propone la sfida dell’integrazione multirazziale, e nonostante le numerose problematiche presenti nel suo tessuto urbano custodisce al suo interno un interessante fermento culturale composto da tante piccole ma rigogliose realtà artistiche che, abbinate alle imprescindibili risorse umane, rendono la città viva e vitale, in grado di crescere, trasformarsi e guardare con ottimismo al futuro. Ciò nonostante Sylva, che oggi è moglie e madre di due bambini ed ha raggiunto la stagione della maturità, ha compreso a fondo il valore delle proprie radici, ha sviluppato un forte attaccamento al suo territorio, ed è capace di guardare con occhi diversi da quelli di un tempo le due diverse realtà costituite dalla città da una parte e dalla provincia dall’altra. Le parole che ha usato per dare il via alla propria narrazione sono ricche di poesia e denotano un amore totale, profondo, incondizionato nei confronti della sua terra e delle innumerevoli bellezze che la caratterizzano, descritte sotto il profilo paesaggistico, storico ed artistico.
“Vivo nel verde collinare etrusco ed antico – esordisce la Batisti nel suo racconto intitolato “Frammenti di Prato e dintorni” –, sopra Prato, a sud di Prato, a Carmignano, sono dunque una pratese di provincia, di periferia . Certo è che devo riconoscere che si tratta di una periferia silenziosa ma privilegiata, dato che il buongiorno me lo dà tutte le mattine la Villa dei Cento Camini di Artimino, ossia Villa La Ferdinanda, splendida opera di Bernardo Buontalenti, guardandomi dalla cima della collina di fronte, dal borgo etrusco di Artimino”. “Una provincia pratese verde ricca di storia – prosegue l’autrice –, di archeologia, di folklore, di campi lavorati per secoli dagli avi, che profuma di pregiato vino, olio, pienezza dei sapori di casa”. “La verde e dolce terra intorno a Prato – scrive ancora –, dei comuni limitrofi e non solo di Carmignano, è un po’ il letto prezioso che Prato valorizza come parte integrante e importante di sé. Il verde come campo coltivato, come lavoro, come valore ecologico, come memoria storica del mondo contadino, da ristudiare e rilanciare sotto nuove ed adeguate forme, come modello di benessere”.
In fondo per Sylva parlare di Prato è stato anche un pretesto per decantare il suo paese d’origine, con il lessico elegante, la scrittura fluida e la brillantezza narrativa che hanno già contraddistinto le sue opere precedenti. La scrittrice infatti ha già al suo attivo “Pietro Nencioni e l’arte di curare” (2012), in cui ha ripercorso la storia del nonno materno, medico condotto a Carmignano per quasi cinquant’anni (vedi “Un medico condotto a Carmignano” di Walter Fortini, “Omaggio al dottor Nencioni” di Alessandro Capecchi, “San Michele entusiasma l’Expo” di Barbara Prosperi), e “Negli anni in cui amavo Jim Morrison” (2014), avvincente narrazione di impronta autobiografica in cui prendendo spunto dal vissuto personale si è allargata a divagazioni di tipo esistenziale, sociologico, filosofico, culturale e più propriamente artistico. In questa occasione ha aderito ad un progetto corale che prevedeva il coinvolgimento di dieci autori, accomunati dal fatto di essere nati a Prato, di esservisi trasferiti o di avere comunque maturato un legame significativo con la cossiddetta capitale del tessile (da cui il titolo della raccolta, “Pratesi si nasce… o si diventa”). Alla realizzazione del libro, pubblicato dalla piccola casa editrice indipendente Ibiskos di Empoli nel settembre 2016, oltre a Sylva Batisti hanno collaborato Umberto Barillaro, Francesco Danti, Giovanni Fiorentino, Andrea Franceschini, Daniela Lomi, Laura Nardi, Ilaria Nassa, Giovanni Nuti, Letizia Parigi. (Barbara Prosperi)
Carmignano e Prato, ‘contado’ e città
Ieri e oggi, nel racconto di Sylva Batisti
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