Il paese di Comeana fu effettivamente bombardato per errore, come ha ripetuto la gente del posto per più di settant’anni, tramandando fino ai nostri giorni una tradizione orale che sosteneva fosse stata la vicina fabbrica della Nobel il vero obiettivo delle Forze Alleate; tuttavia i documenti scritti, certi ed incontrovertibili, rinvenuti nel corso di una approfondita ricerca svolta dall’associazione culturale Frammenti di Memoria hanno dimostrato in maniera chiara ed inequivocabile che le cose andarono diversamente. Errore ci fu, ma non fu quello. Il bersaglio degli aerei americani che il 17 gennaio 1944 si alzarono in volo dalla Puglia alla volta della Toscana era rappresentato in realtà dalla stazione ferroviara di Prato; ma qualcosa nel corso della missione militare non funzionò nel modo previsto e le bombe furono sganciate per sbaglio sulla piccola frazione medicea, il cui abitato era allora interamente compreso tra la piazza Cesare Battisti e la scuola elementare Nazario Sauro, lungo quella che è tuttora l’arteria stradale principale del paese, ovverosia via Dante Alighieri, a metà della quale si apre la piazza sulla quale si affaccia la chiesa parrocchiale di San Michele Arcangelo.
La storia del bombardamento di Comeana e la ricostruzione della sua esatta dinamica sono state da poco rese note attraverso la proiezione di un film documentario realizzato grazie ad un proficuo rapporto di collaborazione nato tra la già citata associazione Frammenti di Memoria e la Casa Accoglienza Anziani, che hanno entrambe sede nel cuore del paese, al fine di stimolare i diretti testimoni dell’avvenimento a fornire i loro ricordi in merito all’accaduto. Durante i trentasette minuti di durata del film infatti si susseguono i racconti di una dozzina di persone, uomini e donne oggi anziani ma che all’epoca erano bambini o ragazzi, che attraverso una narrazione semplice ma efficace rievocano i brevi momenti di terrore che sconvolsero per sempre le loro giovani vite. Alle loro testimonianze si alterna il resoconto della documentazione reperita sul suolo statunitense nei mesi scorsi, proveniente dall’Archivio Nazionale di Washington e costituita dai rapporti redatti sulla scorta delle dichiarazioni che i piloti rilasciarono dopo aver fatto ritorno alle loro basi, materiale che fino a non molto tempo fa risultava ancora coperto dal segreto di Stato.
Intorno alle 9 del mattino dagli aeroporti militari di Amendola e Tortorella, situati entrambi in provincia di Foggia, otto squadroni di boeing B-17 denominati Flying Fortress (Fortezze Volanti) decollarono verso nord con il preciso compito di colpire lo scalo ferroviario pratese. Si trattava di bombardieri pesanti a quattro motori, entrati in produzione negli stabilimenti bellici americani nel corso degli anni Trenta del Novecento, ed impiegati principalmente nelle campagne di bombardamento strategico diurno contro bersagli tedeschi durante il secondo conflitto mondiale. Lungo il loro percorso sorvolarono Napoli, Gaeta, Roma, Grosseto, Piombino, e si diressero infine verso l’entroterra toscano per avvicinarsi all’obiettivo designato. Quella mattina – era un lunedì – il cielo era terso e il sole splendeva, e niente faceva presagire quello che sarebbe successo di lì a poco. Alle 12 a Comeana risuonarono le sirene dell’allarme antiaereo e la popolazione, presa dal panico, iniziò a riversarsi verso i campi, alla ricerca di un riparo offerto dalla conformazione naturale del terreno, di un anfratto, di un fossato, di qualunque cosa insomma potesse fungere da protezione. Di lì a poco venne avvertito il rombo dei motori e furono avvistati i velivoli in avvicinamento. Venivano da Artimino e puntavano in direzione di Prato. Alle 12.30 sul centro mediceo furono rilasciati gli ordigni, e in un attimo si scatenò l’inferno.
Nei racconti dei sopravvissuti è ancora viva e palpabile la paura legata al sibilo delle bombe in caduta libera, al fragore provocato dalla deflagrazione dovuta all’impatto di queste ultime con il suolo, alla pioggia di detriti, terra e polvere che si riversò sopra le loro teste. In breve tempo l’aria diventò irrespirabile, saturandosi di un pesante fumo nero che impediva di vedere a pochi metri di distanza. Cessate le esplosioni, in mezzo ad un delirio di grida, pianti e lamenti la gente cominciò a cercare i propri cari, e solo dopo alcune ore fu possibile fare una stima precisa delle vittime cadute tra la popolazione e dei danni ricevuti dal paese. Su Comeana vennero lanciati sessanta ordigni, la maggior parte dei quali precipitarono in aperta campagna, ad eccezione dei due che si schiantarono rispettivamente nei pressi della chiesa ed all’altezza dell’odierna via don Domenico Mazzoni. Nonostante la pesante intensità dell’attacco né gli edifici né le strade vennero lesionati in maniera significativa e si contò un solo decesso, quello di un ragazzo pugliese di appena ventun anni, Pasquale Meliota, che a seguito dell’armistizio dell’8 settembre 1943 aveva lasciato Bari e si era nascosto in Toscana per evitare l’imbarco per l’Albania. Mentre assisteva al bombardamento dall’argine dell’Ombrone fu investito in pieno dall’onda d’urto di una deflagrazione e perse la vita senza che il suo corpo riportasse neanche un graffio. Ci furono invece tredici feriti, che secondo il verbale stilato il giorno successivo dal podestà vennero trasportati dalla locale Misericordia in ospedale a Firenze.
Ma se il bersaglio da colpire era Prato, a questo punto resta da capire il motivo per il quale fu bombardato il paese di Comeana. La risposta è celata nei predetti rapporti rinvenuti negli Stati Uniti d’America nel mese di gennaio 2016, provenienti dalla base aeronautica di Tortorella, dalla quale partirono i boeing responsabili dell’accaduto. Secondo quanto riferito al loro interno quando mancava ormai pochissimo al raggiungimento dell’obiettivo qualcosa non funzionò per il verso giusto: un apparecchio appartenente ad uno degli ultimi gruppi delle Fortezze Volanti si vide improvvisamente costretto al rientro anticipato per un guasto meccanico che gli impediva di proseguire la missione, mentre sull’aereo al comando si inserì incidentalmente la cosiddetta posizione “salvo”, cioè una modalità di bombardamento automatico sulla quale il pilota non era in grado di intervenire. Poiché gran parte dei velivoli della formazione che seguivano l’aereo guida erano collegati a quest’ultimo, anch’essi sganciarono gli ordigni in maniera automatica prima di poter arrivare a Prato. Mentre gli altri apparecchi portavano regolarmente a termine il compito loro assegnato, Comeana venne colpita a causa del lancio anticipato di una parte delle bombe destinate alla vicina capitale del tessile.
Non era dunque il dinamitificio della Nobel il bersaglio designato, come gli abitanti del luogo hanno affermato fino ai nostri giorni, secondo una versione dei fatti che appariva plausibile anche se per alcuni non del tutto convincente. Qualcuno si chiedeva infatti come fosse possibile che l’insieme delle strutture che costituivano il complesso industriale, la cui estensione sfiorava i novanta ettari di terreno, e che pur essendo immersa in una fitta vegetazione appariva alla stregua di una piccola città, potesse essere sfuggito allo sguardo degli equipaggi aerei che avevano sorvolato la zona, in una giornata caratterizzata peraltro da ottime condizioni di visibilità. Grazie alle foto scattate da uno dei velivoli che rilasciarono gli ordigni è stato possibile constatare che in effetti da quella posizione oltre all’abitato di Comeana erano perfettamente visibili le principali emergenze sia geografiche che architettoniche del territorio: l’Ombrone, Sant’Angelo a Lecore, Poggio a Caiano, Artimino, villa Ferdinanda, villa Vittoria, villa di Castelletti, e infine la polveriera della Nobel, che dunque fu deliberatamente ignorata.
A distanza di settantadue anni dall’accaduto è stata così fatta piena luce sulla causa che provocò il bombardamento di Comeana, che viene ricordato come l’avvenimento più doloroso della sua storia moderna. Questo si è reso possibile grazie alla passione per la ricerca storica dell’associazione Frammenti di Memoria ed alla disponibilità della Casa Accoglienza Anziani, che ha fortemente creduto nel progetto e lo ha coltivato e sostenuto fino al suo compimento. La regia del documentario, che rappresenta il coronamento di un complesso e dispendioso lavoro durato molti mesi e si segnala per un elevato standard qualitativo, è stata curata da Giampaolo Matulli, amministratore della Casa Accoglienza Anziani, insieme a Claudio Cerbai e Stefano Borgioli, due dei soci fondatori di Frammenti di Memoria, mentre le riprese ed il montaggio sono stati realizzati dallo Studio Fotografico Berna Nasca. Il film, che si fregia del patrocinio del Comune di Carmignano ed alla cui produzione hanno contribuito Chianti Banca – Credito Cooperativo Area Pratese, Lions Club Poggio a Caiano – Carmignano e Coleschi Carta, è significativamente dedicato alla memoria “di coloro che hanno sacrificato la loro vita per la nostra libertà”, e attraverso le testimonianze riportate nella sua parte conclusiva mette in evidenza l’orrore, l’assurdità e l’inutilità della guerra, sottolineando la necessità di conservare la memoria degli avvenimenti trascorsi, perché come asserisce il celebre aforisma attribuito al filosofo George Santayana, a cui si ispirano le molteplici attività svolte da Frammenti di Memoria, “Coloro che non conoscono il passato sono condannati a ripeterlo”. (Barbara Prosperi)
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