A Carmignano non si producono solo vino e olio e neppure soltanto fichi secchi, che sono un presidio slow food dal 2001. C’è chi si dedica anche alla produzione del miele: fattorie, aziende ed agriturismi, ma anche chi lo fa nel tempo libero per passione e consumo personale. Per Luca Bocci, agricoltore di Spazzavento, aver a che fare con le api è anche un tuffo nel passato e tra gli affetti più cari.
“Allevarle mi fa tornare in mente mio nonno – inizia – . Anche lui aveva la mia stessa passione: teneva le api dentro una bigoncia di legno e produceva miele per sé. Affascinato da questo mondo sono andato ‘a scuola’ da Leonardo, ex maestro delle elementari ora scomparso (in tanti ai funerali nel 2014 ndr) e che per molti anni ha insegnato alla primaria di Seano. Da allora non mi sono più fermato”.
Luca Bocci ha iniziato a dedicarsi all’apicoltura intorno al 2010: attualmente possiede una sola arnia di cui non è possibile stimare o quantificare il numero esatto dei componenti della famiglia di api che vivono all’interno. Ma è sufficiente per capire cosa succede all’interno e come nasce il miele. “Ci sono dodici telai di struttura reticolare disposti in verticale – spiega -, posti ad una distanza di due centimetri l’uno dall’altro. Su questi le api producono con la cera i favi, ovvero celle a forma di esagono che servono per deporre le uova e per depositare il polline raccolto all’esterno”.
La comunità delle api ha una struttura matriarcale: al centro c’è l’ape regina, accudita da una “corte” di poche fedeli e l’unica capace di riprodursi. Il resto della famiglia è formato dai maschi, detti fuchi, che si accoppiano con la regina, e le api operaie di dimensioni più piccole e sterili.
“L’alveare è un mondo meraviglioso che funziona grazie ad un codice molto rigido – : le api operaie sono delle grandi lavoratrici e si dedicano a numerose attività, tra cui pulire l’arnia, nutrire le larve, difendere l’alveare da minacce esterne, come ad esempio la mantide religiosa, e raccolgono il polline riuscendo ad allontanarsi fino a tre chilometri dall’alveare”.
Le operaie hanno un’esistenza media molto breve, circa un mese o poco più, mentre l’ape regina riesce a vivere fino a tre o quattro anni. Giunta alla vecchiaia si avvicina ai bordi del legno dei telai e fa costruire alle api più fedeli una nicchia in cui sarà deposto un uovo speciale, nutrito con la pappa reale e destinato a diventare la nuova regina.
“Due regine non possono governare insieme – continua Bocci – A quel punto la vecchia regina abbandona l’alveare con il suo seguito dando origine al fenomeno della ‘sciamatura’, mentre la nuova regina darà inizio ad un nuovo ciclo riproduttivo, accoppiandosi con i fuchi ed evitando così l’estinzione della famiglia”. Un metodo alternativo alla sostituzione della vecchia regina può essere quello di acquistarla da allevatori professionisti, che differenziano le diverse età con una marcatura sull’addome di colori diversi.
La raccolta del polline da parte della api “bottinatrici” inizia con la stagione primaverile: il polline viene immagazzinato dentro le celle e chiuso con un opercolo di cera. In questo modo le api si assicurano il cibo per l’inverno: non vanno mai in letargo ma si raccolgono al centro dell’alveare formando una ‘pallina da tennis’ per riscaldarsi a vicenda con il battito delle ali e dandosi il cambio, per cui le api interne si spostano a turno all’esterno della ‘pallina’ e viceversa.
“Il miele che l’uomo produce per se stesso non è mai quello dell’alveare, perché così toglierebbe l’unica fonte di sostentamento alle api e rischierebbe di mettere in pericolo la sopravvivenza della famiglia – spiega Bocci – Per cui sopra l’arnia viene installato un melario, cioè un’altra casetta con telai più bassi, separata da una rete molto fitta che consente il passaggio soltanto alle api operaie che vi depositeranno il polline ed il miele in eccesso”.
Quando l’opercolo di cera messo a chiusura delle celle diventa scuro significa che il processo di maturazione del miele è completato. Questo accade alla fine del mese di agosto e inizia la raccolta. I telai vengono estratti e disposti su uno smielatore che con un movimento centrifugo lo fa uscire dalle celle. Il miele si deposita sul fondo da dove viene trasferito nel ‘maturatore’, che in alto ha un tappo non sigillato e permette la fuoriuscita dell’ossigeno rimasto all’interno. A questo punto il miele è pronto per il confezionamento e per il consumo. (Valentina Cirri)