"O donne, c'è la fiera"

Un viaggio tra i ricordi della festa

Tanti sono stati i nomi della fiera di Carmignano, le cui origini si perdono nel periodo tardo medievale e che ricorre in questi giorni. Inizialmente la fiera aveva luogo il 30 novembre, giorno dedicato a Sant’Andrea apostolo, e per questo motivo era conosciuta come fiera di Sant’Andrea. Successivamente è stata chiamata anche fiera dei fichi secchi e fiera delle corna, perché oltre alla merce sulle bancarelle c’era un’area per il bestiame, in cui venivano esposte capre, pecore e vitelli. A proposito delle corna circolava anche una curiosa filastrocca popolare che diceva più o meno così: “o donne, c’è la fiera a Carmignano, prendetelo il marito per le corna… su per la salita fatelo far piano, o donne, c’è la fiera a Carmignano”.
Ma nomi a parte, la fiera rappresentava l’evento atteso per un anno intero da tutti: soprattutto dai bambini. Per loro l’aria di festa cresceva con l’attesa, già un mese prima, quando sembrava di sentire in lontananza i rumori dei camion che trainavano le giostre e i carrozzoni che a loro volta trasportavano le case viaggianti in legno del circo. L’attesa si trasformava in un gioco quotidiano, finché i carrozzoni non arrivavano davvero la settimana prima l’inizio della fiera.
Allo stesso modo il lunedì prima, il giorno prima della fiera, il paese si popolava di venditori che facevano a gara pur di accaparrarsi il posto dell’anno precedente. Tra i primi ad arrivare c’erano il coltellinaio di Scarperia del Mugello, i brigidinai di Lamporecchio, i chiccai di Firenze, i venditori di trine e merletti di Pistoia, i ramai di Prato con paioli, mezzini, teglie e altri utensili e a seguire i venditori di chincaglierie, i bambolai di San Donnino e di Signa, il vecchio venditore del Lunario Doppio di Sesto Cajo Baccelli, i venditori di maioliche e di recipienti in cotto come i “veggioli” che le ragazze portavano sotto la gonna per scaldarsi. Gli ambulanti, gli allevatori e i commercianti erano ospitati nelle locande del paese oppure dai contadini in cambio di un piccolo affitto o di una “salacca”, che poteva consistere in un pezzo di baccalà, una scatola di sardine oppure in un oggetto di uso quotidiano. Per segnalare la propria disponibilità i carmignanesi appendevano fuori dalla porta un ramo di pino.
Il giorno precedente alla fiera era detto il “giorno dei banchi”, perché i venditori disponevano le loro bancarelle nella piazza intorno alla fontana e nello spazio antistante la chiesa. Nel tardo pomeriggio e durante la sera c’erano balli, concerti di bande musicali e giravano le giostre. La mattina della fiera la piazza si trasformava così in una distesa di bancarelle colorate in cui si mescolavano tanti profumi, come quelli dei chicchi, dei mandorlati e dei duri di menta, dei migliacci, dei nicci del forno di Gostino e dei brutti boni del Fochi. Fuori dal prato del Comune c’era l’area del bestiame, in cui c’era sempre una gran confusione. Qui erano espostw capre, pecore, vitelli ma soprattutto i maiali, che non mancavano nelle case coloniche di allora, perché quasi tutti i contadini compravano l’animale per metterlo nello stiuccio ad ingrassare. Il maiale veniva sistemato per il carnevale successivo ed averlo significava poter trarre una fonte di reddito. Particolarmente sentita così era la trattativa per acquistarlo. Il venditore e l’acquirente proponevano le loro cifre, tra i due litiganti si inseriva il sensale che stringendo le mani dei due contendenti cercava di mediare il prezzo gridando alla fine “l’affare è fatto”. Anche i vitelli erano considerati di pregio: venivano infatti lavati per l’occasione, strigliati e a volte addirittura infiocchettati.
La fiera attirava persone “a fiumi” anche dai paesi vicini, tanto che la piazza era sempre affollata e ci voleva molto tempo per attraversarla a piedi. Il successo era dovuto al fatto che quel mercato tanto variegato dava la possibilità di evadere dalla quotidianità e dava la possibilità di fare acquisti che fossero alla portata di tutte le tasche. Molti carmignanesi infatti compravano alla fiera, anche se in paese c’erano l’emporio del Cavallini e diverse botteghe come l’Armida, in cui si potevano trovare oggetti di uso diverso.
Per i bambini la fiera era poi un sogno ad occhi aperti; e alla fine della giornata, dopo tante emozioni, arrivava lo spettacolo del circo. Durante il pomeriggio i saltimbanchi, i clown, le trapeziste, i cavalli, la ciuchina Poppea e la scimmia con una fanfara di ottoni sfilavano per il paese. La sera dopo cena c’era invece lo spettacolo vero e proprio, che consisteva in una meraviglia senza eguali. Dopo una settimana gli operai iniziavano a smontare il tendone e a questo si univa un senso di malinconia perché la fine della fiera segnava il ritorno alla vita quotidiana, che era fatta di miseria. In fondo al cuore restava comunque la speranza di dover aspettare un altro anno prima di ritrovare quel mondo meraviglioso di profumi, giochi e lustrini in cui sarebbe stato bello vivere sempre. (Valentina Cirri)
Le informazioni contenute in questo articolo sono basate sul libro di Silvano Gelli, “Feste e fiere a Poggio a Caiano e Carmignano” pubblicato da Pentalinea Edizioni nel 2006 e sul libro di Arrigo Cecchi, “Carmignano ieri, Viaggio nella memoria, Cronaca di una vita”, pubblicato nel 2003 da Masso delle Fate Edizioni.
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