Ogni anno il lunedì di Pasqua si ripete a Signa da tempo immemorabile la festa in onore della beata Giovanna, patrona della cittadina toscana, cui vengono dedicate importanti celebrazioni che richiamano notevoli quantità di fedeli anche dai centri limitrofi. Quello che però forse molti non sanno è che questa interessante figura di mistica sembra essere legata in maniera profonda anche a Carmignano, perché pare che proprio qui indossasse l’abito di terziaria francescana presso il convento dei frati minori fondato da Bernardo di Quintavalle nel 1211.
Secondo la tradizione più consolidata Giovanna nacque a Signa nel 1266, ma in assenza di documenti certi è opportuno ricordare che alcune fonti ne spostano il luogo e la data di nascita nel Comune di Lastra a Signa – più precisamente nella località di Gangalandi – nel 1242. Venuta al mondo in una semplice famiglia di estrazione contadina e di salda fede cristiana, come emerge dalle testimonianze dell’epoca, fin dagli anni dell’infanzia la beata contribuì attivamente al sostentamento dell’economia domestica occupandosi del gregge paterno e guadagnandosi perciò l’appellativo di “pastorella” con cui è indicata in maniera usuale. Intorno all’età di dodici anni maturò la decisione di dedicarsi ad una vita di preghiera e di contemplazione nel silenzio e nella solitudine dell’eremitaggio, e più o meno in quello stesso periodo iniziò a compiere dei prodigi a beneficio degli abitanti della zona.
Il primo dei tanti che le vengono attribuiti riguarda l’intervento miracoloso che la fanciulla operò durante una violenta tempesta salvando la vita ad alcuni giovinetti che come lei stavano pascolando le loro greggi vicino a Malmantile. Si tramanda infatti che in tale occasione Giovanna piantasse il suo bastone nel terreno e che questo si trasformasse in una robusta quercia che con la sua chioma riparò i ragazzi e le bestie dai fulmini, dalla pioggia e dalla grandine – oppure, in base ad una variante del racconto, che col suo bastone tracciasse per terra intorno ad una quercia un cerchio entro il quale non caddero né fulmini né pioggia né grandine. Si dice anche che in seguito non fu mai possibile abbattere quell’albero, e che un uomo che vi provò perse all’improvviso le sue forze e non riuscì più ad utilizzare la scure che aveva adoperato nel tentativo di intaccare il legno. Solo molto tempo più tardi la pianta seccò perché colpita da un fulmine, e al suo posto fu edificato un tabernacolo dedicato alla beata tuttora esistente.
Sono in tutto ventisette i miracoli che le vengono riconosciuti almeno fino al 1383, dei quali sei compiuti in vita e ventuno dopo la morte. Uno di questi ultimi interessa il borgo di Artimino, dove si racconta che un certo Fonso venne imprigionato all’interno del vecchio castello e condannato alla pena capitale. Vistosi perduto, l’uomo si raccomandò a Giovanna chiedendole la salvezza, e promettendole solennemente che se avesse ricevuto una tale grazia si sarebbe recato presso il suo sepolcro con un torcetto in mano e una cavezza al collo e sarebbe rimasto inginocchiato in preghiera fino a quando il fuoco non avesse consumato completamente il cero. La beata mossa a compassione lo liberò, e a nulla valsero le ricerche dei soldati che setacciarono il luogo in lungo e in largo ma non riuscirono a trovarlo dentro il fossato in cui si era nascosto.
Sebbene sia tuttora oggetto di discussione se la giovane avesse conservato lo stato laicale o avesse invece abbracciato la regola dei benedettini, dei vallombrosani o dei frati minori, non appare priva di fondamento la versione secondo la quale vestì l’abito di terziaria francescana nel convento di Carmignano, dopodiché si ritirò in isolamento nella valle di Signa, in una località denominata “La Costa” dove oggi si trova la cappella detta “del Beatino”. Lì fece murare la porta del piccolo romitorio nel quale aveva preso dimora e vi rimase raccolta nella contemplazione e nella preghiera fino al momento del decesso, avvenuto il 9 novembre del 1307 presumibilmente per aver contratto la peste. Si narra che al momento del trapasso tutte le campane delle chiese cittadine iniziassero a suonare all’unisono senza che mano umana le toccasse. Quando la donna venne trovata senza vita, inginocchiata in orazione su dei sarmenti, con l’espressione serena e gli occhi socchiusi rivolti al cielo, fu trasportata a Signa e sepolta nella pieve di San Giovanni Battista, dove ancora oggi riposa e dove nel corso del XV secolo le pareti dell’abside vennero istoriate ad affresco con episodi della vita della beata eseguiti da artisti appartenenti alla cerchia di Bicci di Lorenzo.
Dopo la sua morte il popolo di San Martino a Gangalandi e quello di Signa se ne contesero le spoglie, il primo perché rivendicava la nascita della beata Giovanna, il secondo perché oltre alla nascita rivendicava la decisione della pastorella di trascorrere la vita nel romitorio posto nel proprio territorio. Sulla questione si espresse il Capitolo di Firenze, sotto la cui giurisdizione erano poste entrambe le parrocchie, il quale stabilì che i venerati resti dovessero essere custoditi nella pieve di San Martino a Gangalandi, tuttavia durante la traslazione del corpo i buoi che trainavano il carro e la folla che lo seguiva si bloccarono inspiegabilmente a metà di un ponte e non riuscirono più a muovere un solo passo in avanti. Dovettero così tornare indietro e l’accadimento venne interpretato come il frutto della volontà della beata di rimanere nella cittadina di Signa.
Intorno alla figura di Giovanna si sviluppò ben presto una forte devozione da parte di molte parti della Toscana, e tra i tanti fedeli della santa donna si distinsero i Medici, che fecero più volte ricorso alla beata di Signa in occasione di varie calamità. Nel 1439 per esempio ne fecero trasportare la salma a Firenze per far cessare un’epidemia di peste, e così fecero nuovamente in numerose altre evenienze per invocare la sua intercessione o per renderle omaggio in segno di ringraziamento. Nel 1720 Cosimo III donò una ricca cassa dove furono sistemati i suoi resti. In suo onore furono istituite feste e processioni in diversi periodi dell’anno, e anche se oggi le celebrazioni si sono ridotte perlopiù al periodo di Pasqua in ricordo di una traslazione avvenuta il lunedì dell’Angelo del 1385 (la domenica la beata viene esposta alla venerazione dei fedeli, il lunedì si svolge il corteo storico e l’urna contenente il corpo mummificato di Giovanna attraversa le vie e le piazze del centro urbano, il martedì si ha infine la benedizione dei bambini) in passato si svolgevano manifestazioni significative anche per la Santissima Annunziata, per San Lorenzo e per l’Assunzione di Maria e soprattutto in coincidenza della data del decesso, dall’8 al 10 di novembre, quando chi non rispettava la ricorrenza era addirittura soggetto alla corresponsione di una pena pecuniaria (“Pena di fiorini 1 a chi non guardasse la festa di San Salvatore – il 9 di novembre appunto – e della morte della Beata”, si legge infatti in un antico documento). (Barbara Prosperi)