Nella tarda serata di mercoledì 2 maggio si è spento a Cesena il professor Gino Balena, e quando la mattina seguente la notizia ha raggiunto Carmignano la commozione si è propagata con forza tra gli abitanti del paese, a cui l’artista è stato legato per lungo tempo nei molteplici ruoli di insegnante, arredatore e soprattutto regista di uno dei quattro rioni che ogni anno alla fine di settembre animano la festa di San Michele. Pur essendo originario della città romagnola infatti Balena aveva soggiornato per alcuni anni nel comune mediceo, dove era arrivato alla fine degli anni Sessanta per insegnare educazione artistica alla scuola media “Il Pontormo”, che fino al 1970 aveva sede in piazza Niccolini anziché nel viale Parenti.
All’epoca era ancora uno studente di architettura all’università degli studi di Firenze, e quando approdò a Carmignano trascorse la sua prima notte nella canonica del paese, ospite di don Domenico Giandonati. In quel periodo il parroco stava facendo eseguire dei lavori nella chiesa di San Michele ed aveva spostato la “Visitazione” del Pontormo nei locali dell’antico complesso conventuale, e in tale occasione il giovane artista si trovò a dormire nella stessa stanza in cui era alloggiato il dipinto, restando profondamente impressionato dai colori cangianti della pala d’altare.
Dopo aver cambiato alloggio più di una volta, si stabilì finalmente in una abitazione situata a breve distanza dalla Rocca, in un appartamento che divenne ben presto un crocevia di amici, pittori ed architetti che spesso tiravano le ore piccole discutendo e ascoltando musica. In una piccola comunità come quella carmignanese un personaggio estroso come Gino Balena si fece subito notare per l’aspetto originale e l’abbigliamento stravagante: i capelli lunghi e la barba incolta, i pantaloni a zampa d’elefante e le camicie variopinte, i sari indiani e i pareo che caratterizzavano il suo abbigliamento non mancarono di attirare su di lui l’attenzione degli abitanti del posto. Tuttavia il suo innegabile carisma gli conquistò in poco tempo le simpatie di molti paesani, incuriositi e attratti dalla ventata di novità portata a Carmignano dal pittore.
“Era comunque una persona molto educata e riservata – ricorda Anna Bellini, vicina di casa del maestro –, con dei modi gentili e cortesi. Ogni tanto veniva a trovarlo la sua mamma, una bella signora dal fare distinto che portava delle lunghe gonne che le arrivavano fino ai piedi. Inoltre durante il periodo estivo ospitava spesso un bambino che si diceva fosse figlio di un parente in difficoltà di cui si era offerto di prendersi cura con grande generosità”.
Come docente Gino si distinse immediatamente per le idee innovatrici ed anticonformiste che cercò di trasmettere agli allievi, non soltanto stimolando la loro creatività ma spingendoli anche a pensare e a vivere in maniera libera e indipendente. “Per noi ragazzi diventò un punto di riferimento – ci confida Monica Biancalani, sua alunna nei primissimi anni Settanta, che come molti dei suoi compagni subì in maniera marcata l’ascendente del professore –, era evidente che era un uomo all’avanguardia, e con il suo insegnamento contribuì ad aprire le nostre menti e a portare una ventata di rinnovamento nell’ambiente carmignanese”.
Durante il suo primo anno di docenza fu segnalato al Rione Bianco, che stava attraversando una fase poco felice della propria storia ed avvertiva l’urgenza di imprimere una decisa svolta al suo sofferto percorso. “Quando acconsentì a prendere in mano le redini del rione – racconta Mauro Bellini, da sempre una delle colonne portanti del Bianco – gli chiedemmo di che cosa avesse bisogno per realizzare i carri e lui ci rispose senza esitazione: “Dieci quintali di scagliola, compensato e tubi innocenti”. Ci domandammo a che cosa gli servisse così tanta scagliola – continua Mauro –, poi fu tutto chiaro quando vedemmo il risultato del suo lavoro”.
Tra il 1969 e il 1973 sotto la direzione di Gino Balena presero vita imponenti costruzioni scenografiche tra le quali si tramanda ancora oggi la memoria di una realistica casa colonica a due piani e di un magnifico tempio etrusco corredato da una bellissima statua. “Aveva tutta la sfilata ben impressa nella mente – prosegue Mauro –: quando si trattava di imbastire le architetture dei carri per esempio non aveva bisogno di prendere alcuna misura, calcolava ogni cosa ad occhio e dava le disposizioni su dove piantare i pali e innalzare le intelaiature con una sicurezza e una precisione impressionanti. Non si limitava però ad impartire le indicazioni di lavoro ai rionali, ma dava il suo apporto concreto dipingendo, modellando e in definitiva lavorando e sporcandosi senza risparmio”.
Di ogni sfilata Gino ideava e seguiva tutti i singoli aspetti, dalla realizzazione dei carri alla creazione dei costumi, dalla scelta dei personaggi alla cura del trucco, e infine le scenografie, le musiche e gli argomenti da trattare. Il nuovo regista introdusse dei temi di forte valenza sociale, come testimonia ad esempio la sfilata presentata nel 1973, che raccontò con notevole coraggio il drammatico incendio che nell’agosto di quell’anno aveva devastato il Montalbano, denunciando il grave ritardo con cui erano giunti i soccorsi. “La rappresentazione fu del tutto realistica – ci spiega Giuliano Petracchi, un altro pilastro del Bianco –, il rogo che venne ricreato in piazza era autentico, con il fuoco appiccato ad alberi veri e propri”.
Del resto quella dell’aderenza al vero era una delle caratteristiche della regia di Balena, che ove possibile utilizzava elementi reali per la rappresentazione delle varie scene e l’arredo dei carri, per i quali ad esempio venivano impiegati tegole vere, utensili e masserizie autentiche. “La capacità di Gino di coinvolgere la gente era totale – dice ancora Giuliano –. Io appartenevo ad una famiglia storicamente legata al Celeste, ma da alcuni anni ero passato con mia sorella al Bianco provocando non poche discussioni in casa. Con l’arrivo di Balena anche i miei genitori finirono per essere contagiati dal rinnovamento effettuato con tanto entusiasmo dal professore, e come loro molti altri”.
Un’altra delle innovazioni introdotte dall’artista fu l’aumento del numero dei carri. Prima del suo arrivo i rioni generalmente ne portavano in piazza solo uno, mentre dopo il suo avvento ne vennero inseriti almeno quattro. Inoltre si verificò il passaggio dall’alimentazione a batteria a quella ad energia elettrica, e parallelamente il potenziamento delle luci e l’ingresso delle musiche, un elemento oggi considerato imprescindibile per lo svolgimento del cosiddetto “teatro in strada”, ma che in precedenza era garantito quasi esclusivamente dalla partecipazione delle bande.
Dal 1969 al 1973 Gino dette vita a cinque sfilate epocali, in sequenza cronologica “La svinatura”, “Gli Etruschi tra realtà e fantasia”, “Le quattro stagioni”, “Vergine, ma vergine davvero” e “Carmignano è tua, difendila”, aggiudicandosi il trofeo della manifestazione per ben tre volte nel 1970, nel 1972 e nel 1973. Suo fu tra l’altro il merito di condurre il Bianco alla vittoria per la prima volta nella storia del San Michele, lasciandogli un’eredità che è stata poi sapientemente amministrata nei decenni consentendogli di primeggiare in numerose edizioni della festa, fino ad allora di quasi esclusivo appannaggio del Rione dell’Arcangelo.
Dopo cinque anni Balena si fermò. Forse si era esaurito un ciclo, o forse gli pesavano le accuse di quanti lo avevano incolpato di aver ucciso la manifestazione con la netta superiorità dei suoi mezzi, ad ogni modo la sua collaborazione con il Rione della Torre si arrestò e di lì a poco il professore lasciò Carmignano e fece ritorno in Romagna. Mantenne i rapporti con alcuni abitanti del Comune mediceo, non soltanto rionali ma anche amici di altre contrade con i quali aveva legato in maniera particolare e ai quali aveva spesso arredato le abitazioni, ma per circa quarant’anni nessuno lo vide più in paese.. Poi, all’improvviso, si presentò in modo del tutto casuale l’occasione per un suo ritorno. (Barbara Prosperi – continua)
I più sentiti ringraziamenti a Mauro Bellini e Giuliano Petracchi per i ricordi e il materiale d’archivio che hanno generosamente condiviso con noi.