Leonardo da Vinci nella città di Firenze

Gli anni dal 1472 al 1478

Gli anni che intercorsero tra la conclusione dell’apprendistato presso la bottega di Andrea del Verrocchio – a cui rimase a lungo ancorato come collaboratore – e la partenza per il ducato di Milano sono probabilmente i più problematici e i meno facilmente caratterizzabili della biografia di Leonardo, che in quel periodo cercava di affermarsi nell’ambiente artistico fiorentino senza però riuscire a lasciare un segno incisivo nella vita culturale della città. Non è facile ricostruire i progetti a cui il giovane lavorò a partire dal 1472 al 1477, quando risultava già formato come maestro autonomo ma continuava ad essere ancora attivo nella bottega del Verrocchio, dove partecipò sicuramente in maniera determinante alla realizzazione di lavori di ingegneria, scultura e pittura in cui si mescolavano e si confondevano molte mani, difficili da distinguere e da riconoscere in quanto uniformate allo stile del maestro e da questo sapientemente dirette ed amalgamate.

La prima opera firmata e datata di Leonardo è il famoso disegno intitolato “Paesaggio con fiume” eseguito ad inchiostro su carta il 5 agosto 1473 nei pressi di Vinci, dove evidentemente il pittore si recava con una certa regolarità. La veduta raffigurata è stata identificata in maniera non unanime in vari luoghi del Montalbano, tuttavia al di là dell’individuazione del mero dato geografico l’importanza di quest’opera risiede nel fatto che con essa l’autore ha inteso effettuare una descrizione autentica, fortemente realistica, di tipo quasi scientifico del mondo naturale, e al contempo conferire piena e totale dignità al genere del paesaggio. Il foglio, abitualmente conservato al Gabinetto dei Disegni e delle Stampe degli Uffizi, per la sua importanza e delicatezza non viene esposto al pubblico se non in rare e particolari occasioni; una di queste è stata la breve permanenza presso il Museo Leonardiano di Vinci, in cui ha soggiornato dal 15 aprile al 26 maggio scorsi, per il cinquecentenario della morte del genio del Rinascimento italiano. Alla vigilia di questa straordinaria mostra, nell’ambito della quale è stato esibito anche il libro contabile nel quale il nonno Antonio annotò la nascita del nipote, il “Paesaggio” è stato restaurato e analizzato presso il laboratorio dell’Opificio delle Pietre Dure di Firenze, e dalla nutrita ed accurata serie di esami a cui è stato sottoposto sono emerse alcune sorprese e novità, prima fra tutte l’accertamento di una duplice stesura esecutiva, segno che ad una prima fase di realizzazione che si può definire di getto ne è seguita una seconda in cui la composizione è stata perfezionata nei dettagli e modificata forse in senso idealizzante, in una precisa e paziente ricerca di finitezza formale tipica dell’artista.

Il primo dipinto che invece può essere interamente attribuito alla mano di Leonardo sembra essere l’“Annunciazione” degli Uffizi, eseguita quasi sicuramente nella bottega di Andrea del Verrocchio e collocata in un arco temporale compreso approssimativamente tra il 1472 e il 1475; in passato la tavola era stata assegnata a diversi artisti attivi a Firenze nella seconda metà del Quattrocento, primo fra tutti Domenico Ghirlandaio, la cui candidatura è rimasta in auge per molto tempo, poi è stato decisivo per la sua corretta attribuzione il ritrovamento di due disegni preparatori di indubbia autografia leonardesca, che hanno sgombrato il campo da ogni incertezza e permesso di determinare l’effettiva paternità dell’opera, ovvero uno “Studio di braccio” riferibile all’arcangelo Gabriele custodito presso la Christ Church Library di Oxford e uno “Studio di drappeggio” relativo alle gambe della Vergine appartenente alla collezione del Dipartimento di Arti Grafiche del Louvre. In essa si trovano elementi desunti dall’arte verrocchiesca (palese su tutti la citazione del monumento funebre a Giovanni e Piero de’ Medici nelle zampe leonine e nelle volute vegetali del leggio su cui posa il libro della Madonna) mescolati a caratteristiche tipiche della produzione pittorica di Leonardo (l’aspetto androgino dell’arcangelo, l’indagine analitica della realtà nella rappresentazione quasi scientifica delle ali di Gabriele e delle specie botaniche, l’utilizzo dello sfumato e della prospettiva aerea nel paesaggio raffigurato in lontananza, peculiarità che peraltro compaiono già nel “Battesimo di Cristo” realizzato da Andrea per la chiesa di San Salvi), ma essendo con ogni probabilità l’opera prima del giovane pittore sono presenti al suo interno imperfezioni ed errori di varia natura, imputabili perlopiù all’inesperienza; tra le carenze più frequentemente rimproverate al vinciano spiccano le incongruenze prospettiche rilevate principalmente nella parte destra del dipinto, dove appaiono fuori scala e disposti in maniera approssimativa nello spazio le pietre che ornano la facciata dell’abitazione di Maria e il braccio destro di quest’ultima, tuttavia di recente è stato sottolineato che queste anomalie scompaiono se il quadro viene osservato da destra, coerentemente con la posizione in cui doveva probabilmente essere collocato nella chiesa di San Bartolomeo a Monte Oliveto, la quale avrebbe dunque comportato un’osservazione in scorcio da un punto di vista obbligato. Contravvenendo ad una consolidata tradizione iconografica, Leonardo non ambienta la scena in una stanza o in un piccolo giardino delimitato da un recinto, chiara allusione all’“hortus conclusus” simboleggiato dal ventre verginale della Madre di Dio, ma in uno spazio aperto che rivela in lontananza un paesaggio arioso scandito da rilievi montuosi e da un corso d’acqua.

Mentre è molto incerto il coinvolgimento di Leonardo nelle opere scultoree realizzate nella bottega di mastro Andrea (ma considerate le stringenti analogie tra alcuni disegni eseguiti dall’allievo e altrettanti lavori firmati dal maestro, come ad esempio il bassorilievo col vigoroso “Profilo di capitano antico” o il delicato busto della “Dama col mazzolino”, è plausibile ipotizzare che ci sia stata una effettiva partecipazione del primo nelle opere del secondo), sembra che risalgano agli anni immediatamente successivi all’esecuzione dell’“Annunciazione” la “Madonna del garofano”, che risente ancora di una forte impronta verrocchiesca, sulla quale si innestano però le novità introdotte nell’ambiente artistico fiorentino dalla pittura fiamminga, il “Ritratto di Ginevra Benci” e la “Madonna Benois”, mentre non è possibile affermare se sia mai stata messa in opera la “Madonna del gatto”, di cui si sono conservati numerosi schizzi ma non si conoscono versioni dipinte né in copie autografe né in repliche di bottega o di ammiratori. Mentre sotto l’egida di Andrea si divideva tra le opere che richiedevano un lavoro d’équipe e quelle condotte in totale autonomia, oltre ad esercitare le arti figurative Leonardo approfondiva ed ampliava i suoi interessi nel campo della filosofia e della scienza, grazie alla frequentazione di illustri uomini di cultura quali il matematico Paolo dal Pozzo Toscanelli, ed iniziava presumibilmente ad assistere a sedute di dissezione anatomica, se non a praticarle già in prima persona. La sua mente era assetata di conoscenza, non c’è forse stata una branca dello scibile umano che non abbia suscitato la sua curiosità, e in ogni disciplina in cui si cimentava il disegno era per lui uno strumento di indagine scientifica della realtà.

Nella primavera del 1476 l’esistenza di Leonardo venne travolta da un gigantesco scandalo che lo vide coinvolto insieme ad altri giovani esponenti dell’alta borghesia fiorentina:a seguito di una denuncia anonima indirizzata agli Ufficiali di notte del capoluogo toscano, il pittore fu accusato di praticare atti di sodomia ai danni del diciassettenne Jacopo Saltarelli, un apprendista orafo che pare si prestasse abitualmente come modello per gli artisti della città, anche se la vicenda che uscì allo scoperto in questo frangente sembra sottintendere piuttosto una storia conclamata di prostituzione minorile; insieme al nome di Leonardo vennero fatti quelli dell’orafo Bartolomeo di Pasquino, del farsettaio Baccino e di Leonardo Tornabuoni, nipote acquisito di Lorenzo de’ Medici in quanto figlio di un fratello della moglie Lucrezia, a proposito del quale si trova scritto che “veste di nero”, ad indicare la posizione sociale del giovane, dal momento che le stoffe nere erano al tempo le più pregiate e costose e costituivano pertanto una prerogativa dell’alta società. Benché a Firenze l’omosessualità fosse ampiamente diffusa, conosciuta e tollerata (pare infatti che si trattasse di una consuetudine talmente nota anche al di fuori dei confini italiani da indurre i tedeschi ad indicare i sodomiti con il termine “florenzer”), il codice penale dell’epoca prevedeva punizioni estremamente severe per chi si macchiava di quello che veniva considerato come un vero e proprio reato, dal taglio di un piede o di una mano all’evirazione fino alla condanna al rogo. Il clamore sollevato dalla vicenda dovette senza dubbio essere enorme ed assumere una vasta risonanza nelle cronache cittadine del tempo, anche e soprattutto per la fama dei personaggi coinvolti (il nipote del signore di Firenze e il figlio di un notaio della Repubblica in primis), tuttavia dopo un primo interrogatorio svolto nel mese di aprile gli imputati furono invitati a ripresentarsi in tribunale a giugno, dopodiché la faccenda si risolse con l’assoluzione piena di tutti i denunciati, al che non è difficile immaginare l’intervento del Magnifico e di ser Piero per l’esito positivo della vicenda.

Non abbiamo elementi che ci aiutino a comprendere come Leonardo reagisse a questa spinosa situazione, sappiamo soltanto che al momento della denuncia abitava ancora sotto il tetto del maestro (“sta con Andrea del Verrocchio”), ma è probabile che lo abbandonasse entro l’anno, e che si allontanasse definitivamente dalla bottega di via dell’Agnolo dopo la conclusione delle commisioni realizzate per la cattedrale di San Jacopo a Pistoia, dove Andrea e i suoi discepoli consegnarono nel 1477 il rilievo per l’altare intitolato al cardinale Niccolò Forteguerri e il dipinto con la “Madonna di piazza” per il presbiterio, opera soprattutto quest’ultima nella quale appare preponderante la mano di Lorenzo di Credi, che per quanto meno dotato di Leonardo finì per diventare il principale aiutante del Verrocchio e portò a termine i lavori che rimasero interrotti dopo la scomparsa del maestro. Nel gennaio del 1478 Leonardo ricevette finalmente la sua prima commissione personale, una pala d’altare per la cappella di San Bernardo nel Palazzo della Signoria, ma a dispetto del prestigio che poteva derivargli dall’incarico, e nonostante avesse già incassato dai priori un anticipo di 25 fiorini, l’artista non concluse il dipinto, a cui forse non diede nemmeno inizio, e che venne successivamente eseguito da Filippino Lippi, il quale lo consegnò nel 1485 (si tratta della “Pala degli otto” attualmente esposta agli Uffizi). Non è chiaro il motivo per il quale il giovane non onorasse l’impegno, ma alla luce degli avvenimenti che si ripeterono negli anni a venire siamo in grado di affermare che questa fu soltanto la prima di una lunga serie di opere non concluse o mai consegnate. (Continua – Barbara Prosperi)

 

 

 

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