Il cinquecentenario della morte di Leonardo, a cui sono state giustamente dedicate tante attenzioni, e che è stato doverosamente sottolineato anche da questo portale, ha in parte oscurato altri importanti anniversari, tra i quali se ne ricordano due straordinariamente significativi per la Toscana: la nascita di Caterina de’ Medici, prima regina italiana di Francia, e quella di Cosimo I de’ Medici, secondo duca e primo granduca di Toscana, sotto la cui reggenza si verificò il passaggio dal ducato al granducato, che avvenne esattamente 450 anni fa, il 27 agosto del 1569. Poiché degli altri due personaggi ci siamo già interessati, in questa sede ci occuperemo soltanto di Cosimo, raccontando la parabola esistenziale di un uomo che ha segnato in maniera indelebile non soltanto la storia ma anche lo stesso aspetto di Firenze e della Toscana. Oltre che un abile politico egli fu infatti un munifico committente, e tra i tanti artisti che lavorarono al suo servizio ebbe un ruolo di rilievo Jacopo Carucci da Pontorme, l’autore della “Visitazione” di Carmignano.
Cosimo de’ Medici nacque a Firenze il 12 giugno del 1519 da Giovanni dalle Bande Nere, uno dei condottieri più celebri di tutti i tempi, e da Maria Salviati. Dopo circa un secolo in lui si ricongiungevano i due rami della casata medicea: quello di Cosimo il Vecchio, da cui erano discesi tra gli altri Lorenzo il Magnifico, papa Leone X, papa Clemente VII e la stessa Maria, e quello di Lorenzo il Vecchio, da cui aveva avuto origine la stirpe dei cosiddetti Popolani, a cui apparteneva appunto Giovanni. Nella misura in cui gli era concesso dai suoi frequenti e prolungati periodi di assenza, il giovane cercò di trasmettere al figlio i valori del coraggio e della determinazione che lo contraddistinsero nel corso della sua breve vita (un episodio che viene puntualmente riferito nelle biografie che li riguardano fa riferimento alla volta in cui Giovanni, di ritorno da una delle sue campagne militari, intimò alla governante di gettargli tra le braccia il bambino lanciandolo dal balcone del primo piano della sua abitazione).
Cosimo rimase ben presto orfano del padre, ucciso da una violenta setticemia causata da un colpo d’artiglieria. Il 25 novembre del 1526, mentre combatteva contro le truppe imperiali di Carlo V, Giovanni venne infatti raggiunto a Governolo, nei pressi di Mantova, da una palla di falconetto, un piccolo cannone molto in voga tra il XV e il XVI secolo, e nonostante l’amputazione dell’arto in capo a cinque giorni l’uomo morì divorato dall’infezione. Il futuro granduca di Toscana aveva appena sette anni. Spettò quindi alla sola Maria il compito di crescere ed educare il figlio, a cui nonostante le ristrettezze finanziarie venne riservata un’educazione di primo livello, grazie all’impiego di una serie di validi istitutori tra i quali spiccava il presbitero Pierfrancesco Riccio. All’apparenza il ragazzo non sembrava interessato all’attività politica: la sua fanciullezza e la sua adolescenza trascorrevano tra lo studio e l’esercizio all’aria aperta nella tranquilla villa del Trebbio, nel Mugello, a circa trenta chilometri di distanza da Firenze, dove nel 1530 nella persona di Alessandro I erano intanto tornati a governare i Medici, che avevano ricevuto l’investitura e il titolo ducale da parte dell’imperatore Carlo V grazie ad un accordo stipulato con papa Clemente VII.
Alessandro, che nei documenti ufficiali veniva indicato come figlio naturale di Lorenzo de’ Medici, nipote del Magnifico, ma che in realtà pare fosse nato da una relazione clandestina tra papa Clemente VII e una serva di colore (il giovane aveva infatti la carnagione scura e da molti veniva indicato con il soprannome di “Moro”), era un governante dai modi duri e dal temperamento crudele, temuto dai sudditi e malvisto da molti fiorentini, specialmente da quelli che non si rassegnavano al tramonto dell’istituzione repubblicana. Tra i numerosi oppositori ce n’era uno particolarmente risoluto anche in casa Medici: Lorenzo di Pierfrancesco il Giovane, detto prima Lorenzino e poi Lorenzaccio, che spinto dal desiderio di liberare Firenze dalla tirannide uccise l’odiato consanguineo, facendolo cadere sotto i colpi di pugnale assestatigli da lui e dal suo complice Scoronconcolo. Alessandro, che benché fosse sposato con Margherita d’Austria, figlia illegittima di Carlo V, cedeva spesso e volentieri alle grazie femminili, fu indotto in un tranello da Lorenzo, che con la falsa promessa di un incontro d’amore con una bella ragazza lo colse a tradimento nel letto nella notte fra il 5 e il 6 gennaio del 1537.
Per un po’ si tentò di tenere nascosto l’assassinio del duca, per evitare disordini e per il timore che la città sprofondasse nell’anarchia, tuttavia ad un certo punto la notizia iniziò a trapelare e alla fine divenne di pubblico dominio. Allora si presentò immediatamente la questione della successione: la fazione antimedicea sperava probabilmente di far rientrare in patria e di candidare al governo di Firenze i vari fuoriusciti, mentre quella filomedicea cercava di riposizionare alla guida del ducato un esponente della casata, ma con Alessandro morto, Lorenzo in fuga e gli altri uomini della famiglia inseriti nella Chiesa non rimanevano che due possibili candidati: Cosimo, figlio di Giovanni dalle Bande Nere, di soli diciassette anni, e Giulio, figlio naturale del duca, che aveva appena cinque anni. Complice la fretta di Carlo V, che aveva fatto sapere di desiderare una rapida conclusione della vicenda, alla fine venne convocato il giovane, che nel frattempo era sceso in città e accettò senza alcun indugio l’investitura.
Molti fiorentini credevano forse di poterlo manovrare facilmente, in virtù della sua giovane età e dell’inesperienza, ma non avevano fatto i conti con la tempra del ragazzo, che aveva ereditato la forza, la risolutezza e la decisione del padre e della nonna, quella Caterina Sforza passata alla storia con gli appellativi di “tigre di Forlì” e di “leonessa della Romagna”. Per prima cosa infatti Cosimo, nominato a capo del governo costituito dal Consiglio dei Quarantotto, ne esautorò subito i componenti e assunse l’autorità assoluta, premurandosi inoltre di escludere il ramo cui apparteneva Lorenzo (poi fatto rintracciare ed uccidere a Venezia) da qualunque diritto di successione, restaurando di fatto il dominio mediceo in maniera così ferma e così solida che a partire da quel momento la dinastia non avrebbe più conosciuto interruzioni fin quasi alla metà del XVIII secolo, quando la famiglia si esaurì per mancanza di eredi.
Lo stesso anno dell’ascesa al potere di Cosimo gli esuli fiorentini, capeggiati da Filippo Strozzi, tentarono di rovesciare il dominio mediceo, tuttavia l’esercito del duca il 1° di agosto inflisse loro una pesante sconfitta nella battaglia di Montemurlo, e stroncò definitivamente ogni velleità di restaurazione repubblicana. I responsabili della rivolta furono prima imprigionati e poi processati e decapitati nel palazzo del Bargello, come duro monito per chi avesse meditato di opporsi al nuovo signore di Firenze. Venne risparmiato soltanto Filippo, che finì recluso alla Fortezza da Basso e si narra che finisse i propri giorni suicida, non sopportando il disonore di essere stato sconfitto e privato della libertà, anche se furono in molti a sospettare un omicidio. Oltre a perseguire l’accentramento del potere, Cosimo sviluppò una politica di stampo filoimperiale, volta alla celebrazione di Carlo V e al conseguimento della sua benevolenza e protezione.
Anche per questo motivo il giovane cercò di ottenere dall’imperatore la mano di sua figlia Margherita, vedova del duca Alessandro, ma al rifiuto del monarca Cosimo intraprese un’altra strada, indirizzandosi su Pedro di Toledo, viceré di Napoli, uno degli uomini più fidati di Carlo V, che per conto dell’imperatore governava appunto il vasto regno di Napoli. Don Pedro avrebbe voluto dare in sposa al Medici Isabella, la maggiore delle sue quattro figlie, ma la scelta del duca, coadiuvato nella delicata trattativa da Giovanni Bandini, si posò sulla secondogenita, Eleonora, colta, intelligente e di bella presenza, che venne ritenuta la candidata ideale. Messi a punto gli accordi sulla dote, nel giugno del 1539 la ragazza, che all’epoca aveva diciassette anni, partì alla volta della Toscana ed incontrò il promesso sposo nella villa di Poggio a Caiano, e da lì i due fidanzati si misero in viaggio per raggiungere Firenze. Per le nozze, che furono celebrate nella basilica di San Lorenzo, chiesa di famiglia dei Medici, la città venne abbellita con apparati fastosissimi, volti a celebrare più che il duca di Toscana l’imperatore Carlo V, protettore di Cosimo.
Gli sposi in un primo momento si stabilirono nel palazzo di via Larga (l’attuale Palazzo Medici Riccardi di via Cavour), ma di lì a poco si trasferirono a Palazzo Vecchio, l’edificio simbolo di Firenze, scelto per due ragioni fondamentali: perché era l’emblema del potere politico e perché era più facilmente difendibile. Cosimo volle aumentare ulteriormente la sua incolumità ingaggiando un corpo di guardia permanente, composto perlopiù da soldati scelti di provenienza prevalentemente svizzera, lautamente pagati e perciò fedelissimi al duca. Alcuni settori del palazzo vennero trasformati in comodi appartamenti adatti alle esigenze della coppia, che si rivelò particolarmente indovinata ed affiatata, con ogni probabilità la meglio riuscita tra le tante unioni infelici della casata, segnata non di rado da veri e propri drammi coniugali. Nel giro di quattordici anni Cosimo ed Eleonora furono rallegrati dalla nascita di undici figli, desiderati ed amatissimi dai genitori, che si occuparono assiduamente della loro prole: Maria (1540 – 1557), Francesco (1541 – 1587), Isabella (1542 – 1576), Giovanni (1543 – 1562), Lucrezia (1544 o 1545 – 1561), Pedricco (1546 – 1547), Garzia (1547 – 1562), Antonio (nato e morto nel 1548), Ferdinando (1549 – 1609), Anna (nata e morta nel 1553) e Pietro (1554 – 1604).
Contrariamente all’uso del tempo, anche se tutti i bambini erano normalmente seguiti da governanti ed istitutori, i duchi furono attentissimi nei confronti dei propri figli, che venivano eccezionalmente ammessi alla stessa mensa dei genitori e che si intrattenevano, conversavano e giocavano con il padre e la madre, tanto che era risaputo che nell’intimità delle mura domestiche Cosimo, che solitamente in pubblico era austero, “si disducava” come un qualunque padre di famiglia. Per amore del marito Eleonora accettò in casa anche la piccola Bia (1537 – 1542), nata prima del matrimonio da una donna di cui non si conosce l’identità e destinata ad una breve vita, così come altri figli della coppia, che morirono prima di raggiungere la maggiore età, e gli fu spesso accanto nelle occasioni ufficiali, se non quando impedita dai parti e dalle complicazioni delle gravidanze. Ricambiata in ugual misura da Cosimo, la donna lo sostenne in moltissime occasioni, affiancandosi ai suoi più stretti collaboratori.
Fu grazie alla sostanziosa dote di Eleonora che alla fine degli anni Quaranta Cosimo acquistò e intraprese l’ampliamento di Palazzo Pitti e dell’adiacente Giardino di Boboli, un complesso architettonico, artistico e naturalistico che ancora oggi desta la meraviglia di milioni di turisti, e che nel corso dei secoli ha ospitato non soltanto la dinastia granducale dei Medici prima e dei Lorena poi, ma anche i Savoia al tempo in cui Firenze era capitale del regno d’Italia. Per collegare mediante un passaggio sicuro e segreto Palazzo Vecchio, sede del potere civile, a Palazzo Pitti, eletta a nuova residenza privata, il duca nel 1565 incaricò Giorgio Vasari di costruire il famoso corridoio che proprio dal celebre pittore, architetto e scrittore aretino ha derivato il suo nome, e che attraversando con una struttura sospesa gli Uffizi, il Lungarno degli Archibusieri, Ponte Vecchio e via dei Guicciardini (dove entra nella chiesa di Santa Felicita) sfocia infine all’interno di Boboli. Continua (Barbara Prosperi)