Compagna tanto fedele, devota e paziente nella sfera coniugale quanto donna pratica, determinata ed energica nella cura degli affari. La figura di Margherita Datini, alle cui fragilità e alla cui forza ha voluto recentemente rendere omaggio il regista Massimo Smuraglia , è però sempre stata oscurata da quella del marito, il celebre mercante pratese Francesco Datini.
Nata a Firenze intorno al 1360 da Domenico Bandini e Lionora Gherardini, Margherita abbandonò piccolissima la città natale a seguito della morte del padre, giustiziato dal governo repubblicano con l’accusa di tradimento, e si trasferì insieme alla madre e ai fratelli ad Avignone, dove la famiglia aveva dei parenti, e dove Francesco aveva fatto fortuna dopo aver lasciato la madrepatria.
Lì i due si conobbero e si unirono in matrimonio nel 1376, celebrando delle nozze particolarmente sfarzose. Nonostante la differenza d’età (circa venticinque anni) che intercorreva fra gli sposi, le frequenti infedeltà e le numerose assenze per motivi di lavoro di Francesco, che non fu mai molto espansivo nei confronti di Margherita, la coppia diede vita ad un robusto sodalizio affettivo e professionale, cementato dalla fiducia e dalla stima reciproche.
All’inizio degli anni Ottanta fecero ritorno in Italia, stabilendosi a Prato, tuttavia Francesco continuò a spostarsi a lungo per seguire da vicino gli affari, in particolare a Firenze e a Pisa, così Margherita si trovò costretta a passare molto tempo da sola, imparando a gestire l’andamento della casa, i lavori nei poderi, e anche parte delle attività economiche legate al centro mercantile di Prato.
Attraverso il fitto carteggio che moglie e marito si scambiarono per tanti anni è possibile apprezzare il sapiente lavoro di amministrazione svolto da Margherita (che per questa sua attività viene considerata la prima imprenditrice della storia), conoscere alcuni aspetti del suo carattere ed apprendere molti particolari del rapporto che la univa a Francesco, di cui cercava continuamente l’approvazione e di cui lamentava spesso l’assenza.
È interessante notare che in un primo momento le lettere della giovane trattavano quasi esclusivamente di questioni economiche, mentre con l’andare del tempo arrivarono a toccare argomenti più propriamente privati, e questo perché all’inizio Margherita, che era analfabeta, si vide costretta ad affidarsi ad uno scrivano, cui per pudore non confidava i pensieri e i sentimenti più riposti, che iniziò ad esternare solo dopo che ebbe imparato a leggere e a scrivere personalmente.
Oltre che per la mancanza dello sposo, la donna soffriva anche perché il loro matrimonio non era stato allietato dalla nascita di un erede, tanto che pur di avere un figlio da accudire nel 1392 Margherita accolse in casa una bambina di nome Ginevra, nata a Firenze da una relazione extraconiugale di Francesco, di cui si prese cura con grande affetto, realizzando per lei un ricco corredo e accompagnandola fino alle nozze.
Affiancata dal domenicano Giovanni Dominici e dal notaio Ser Lapo Mazzei, che aveva una fede profonda, Margherita con il passare degli anni si preoccupò della salute spirituale di Francesco, diffidandolo dal continuare ad “affannarsi a lavorare e guadagnare che divora l’anima e il corpo, che rende inutile e vuoto il tempo della vita”. L’uomo iniziò allora a meditare con assiduità su temi di carattere etico e religioso, maturando la decisione di concludere la sua esistenza compiendo delle opere di bene.
Attraverso l’istituzione del famoso Ceppo dei poveri Datini lasciò alle fasce più bisognose della popolazione di Prato la maggior parte delle sue fortune, per un totale di circa centomila fiorini d’oro ed oltre quattrocento immobili, e pose le basi per la nascita dello Spedale degli Innocenti a Firenze, a sostegno dei bambini rimasti orfani o vittime di abbandono. Incluse inoltre la moglie tra gli esecutori testamentari, in segno della stima e della fiducia che aveva sempre nutrito per lei.
Dopo la morte del marito, avvenuta nel 1410, Margherita si fece terziaria domenicana e andò ad abitare insieme a Ginevra e alla sua famiglia nel capoluogo toscano, dove visse ancora per tredici anni e dove fu poi sepolta nella basilica di Santa Maria Novella. Benché in vita avesse espresso il desiderio di essere tumulata accanto al consorte, che riposa nella chiesa di San Francesco a Prato, gli eredi non rispettarono questa sua ultima volontà.
Dopo alcuni secoli di oblio, in tempi relativamente recenti gli studiosi hanno appuntato il loro interesse sulla figura di Margherita Bandini, ricostruendone il profilo attraverso un’attenta disamina del ricco epistolario intrattenuto con Francesco Datini, ed è proprio da questo processo di scoperta e rivalutazione che è scaturito il progetto della Scuola di Cinema Anna Magnani di Prato, che ha inteso tributare il giusto riconoscimento a questa donna straordinaria.
Fra l’inizio del 2020 e la prima parte del 2021 ha così visto la luce il film che ne ripercorre le principali vicende biografiche, grazie alla collaborazione e al contributo economico della Fondazione Casa Pia dei Ceppi (che ha sede proprio nel trecentesco Palazzo Datini, dove si trova anche l’Archivio di Stato di Prato), guidata dallo storico Walter Bernardi, del Comune e della Fondazione Cassa di Risparmio di Prato.
Il mediometraggio, intitolato semplicemente Margherita, prende il via nel 1387, cinque anni dopo il trasferimento di Francesco e Margherita a Prato, e si conclude qualche tempo dopo la morte del mercante, che per una sorta di contrappasso dantesco nella pellicola ricopre un ruolo marginale e compare solamente come voce fuori campo, lasciando finalmente tutta la scena a disposizione della moglie. (Barbara Prosperi)