Caterina, la madre di Leonardo da Vinci, il genio del Rinascimento italiano le cui radici per parte paterna affondano nel borgo di Bacchereto, era una schiava proveniente da un paese straniero. Lo sostiene il professor Carlo Vecce, filologo e studioso del Rinascimento, docente di Letteratura italiana all’Università degli Studi di Napoli L’Orientale, che ha appena presentato il suo primo romanzo, “Il sorriso di Caterina. La madre di Leonardo”, uscito in questi giorni. A conferma di questa tesi, proposta con convinzione già da diversi anni dallo storico dell’arte Alessandro Vezzosi, uno dei maggiori studiosi di Leonardo a livello internazionale, e dal medico Luigi Capasso, direttore dell’Istituto di Antropologia dell’Università degli Studi Gabriele D’Annunzio di Chieti e Pescara, Vecce ha annunciato la scoperta di un documento all’apparenza inequivocabile rinvenuto nell’Archivio di Stato di Firenze. Secondo le informazioni contenute al suo interno la donna, originaria della Circassia, era stata rapita, ridotta in cattività e venduta più volte attraverso un lungo viaggio che dal Caucaso la condusse prima sul Mar d’Azov, tra Russia, Ucraina e Crimea, poi a Costantinopoli e infine a Venezia, da dove venne trasferita nel capoluogo toscano. Qui entrò al servizio della famiglia di Donato di Filippo di Salvestro Nati, che era in rapporto con il notaio ser Piero da Vinci, ovvero il padre del futuro artista, che con ogni probabilità conobbe la ragazza nella città del giglio.
Dal documento si evince che Caterina giunse a Firenze nel 1442, intorno ai quindici anni d’età, e subito iniziò a lavorare come serva e come balia sotto le direttive di Ginevra d’Antonio Redditi, moglie del Nati. Era insomma una delle tante schiave provenienti dall’Est che soprattutto nel Quattrocento furono introdotte in Toscana, dove spesso venivano ribattezzate con nomi appartenenti alla tradizione occidentale (Caterina era uno di questi, tra i più utilizzati in assoluto). Una di esse ad esempio, passata alla storia come Maddalena, abitò in casa di Cosimo il Vecchio de’ Medici e gli diede un figlio di nome Carlo, che si dedicò alla carriera ecclesiastica. Era anch’essa circassa, a dimostrazione del fatto che le donne di quella regione erano particolarmente richieste in quanto considerate di straordinaria avvenenza. Leonardo, nato dalla relazione con ser Piero, stando alle “Ricordanze” dell’umanista Francesco di Matteo Castellani non fu il primogenito di Caterina, che nel 1450 allattava e doveva quindi avere già avuto almeno una gravidanza. Quando si avvicinarono i giorni del parto il giovane, che era prossimo alle nozze con Albiera di Giovanni Amadori, mandò la ragazza in un casale di campagna nei pressi di Vinci, e lì il 15 aprile del 1452 venne alla luce il bambino. Circa sei mesi più tardi Ginevra rinunciò alla proprietà su Caterina, e fu proprio ser Piero che il 2 novembre di quello stesso anno redasse l’atto di affrancamento della donna che gli aveva donato il suo primo figlio.
Non è illogico ipotizzare che sulla decisione di Ginevra potesse aver influito il notaio, e allo stesso modo non appare fuori luogo immaginare che egli potesse anche aver sborsato una sorta di riscatto per riconquistare la libertà dell’amante, prima che le loro strade si dividessero, seguendo vie già tracciate e ormai note. Presentando il suo libro il professor Vecce ha narrato alcuni particolari della ricerca svolta presso l’Archivio di Stato di Firenze, dalla quale è scaturita l’idea di dare vita al romanzo: “Un po’ per caso, qualche anno fa, sono venuti fuori questi documenti – ha dichiarato -, ho iniziato a studiarli per dimostrare che questa schiava di nome Caterina non fosse la madre di Leonardo, ma alla fine tutte le evidenze andavano in direzione contraria, soprattutto questo atto di liberazione. Il notaio che affranca Caterina è la stessa persona che l’ha amata quando era ancora una schiava – ha poi aggiunto -, e dalla quale ha avuto un bambino”. Nel libro Vecce si è concesso alcune libertà narrative, tra le quali ad esempio quella di conferire al padre di Caterina, un uomo indicato col nome di Jacob (Giacomo), la dignità di principe, ma a parte qualche licenza poetica “tutto quello che c’è nel romanzo è reale, anche il nome dei protagonisti – ha precisato -. Nel libro la finzione interviene solo per connettere le loro storie e integrare le lacune, come fa del resto la filologia”. A riprova di questo nell’atto di affrancamento in riferimento a Caterina si legge proprio “filia Jacobi eius schiava seu serva de partibus Circassie”.
“Siamo di fronte a una scoperta di rivoluzionaria importanza”, ha affermato Antonio Franchini, direttore editoriale della Giunti, e se il suo commento entusiastico può sembrare prevedibile e giustificato, da parte di chi rappresenta la casa editrice che ha pubblicato il romanzo, appare sicuramente meno scontato il giudizio dello storico Paolo Galluzzi, accademico dei Lincei già direttore del Museo Galileo di Firenze, che ha definito quella proposta da Carlo Vecce una teoria interessante, solida e basata su una documentazione convincente, “destinata a stimolare il dibattito”. Le prime reazioni a riguardo in effetti non si sono fatte attendere e la discussione sull’argomento è già iniziata, dando vita ad una serie diversificata di opinioni che spaziano da chi ha immediatamente plaudito alla notizia a chi la ritiene totalmente infondata o comunque interamente da verificare, sostenendo che mancano le prove incontrovertibili e inconfutabili del fatto che la Caterina menzionata nell’atto notarile sia proprio la madre di Leonardo e non una semplice omonima, anche se diversi indizi e coincidenze depongono a favore della prima ipotesi. Di fronte alle prime contestazioni Vecce ha intanto diffuso in rete la foto del documento conservato all’Archivio di Stato fiorentino, e ha inoltre annunciato la pubblicazione di un articolo di taglio scientifico che dovrebbe illustrare in maniera precisa e dettagliata i termini della questione. (Barbara Prosperi)