La verità sul 2 marzo 1944 a Comeana

Lo racconta Lorenzo Petracchi

Durante la presentazione dell’ultimo libro di Lorenzo Petracchi il mistero è stato finalmente svelato, anche se in fondo mistero non era più da qualche tempo, dal momento che il volume era in vendita già da alcuni mesi. Mancava solamente la rivelazione ufficiale davanti al pubblico, e questa è avvenuta nel corso di una serata al termine della quale si è sviluppato un interessante dibattito, a tratti vivace ed acceso. A guidare il gruppo di partigiani che la sera del 2 marzo 1944 sparò contro la Casa del Fascio di Comeana, provocando la morte di Giovacchino Ballerini e Dante Bologni, c’era Bogardo Buricchi. Il duplice omicidio non fu comunque né intenzionale né tantomeno premeditato, ma si trattò di una tragica fatalità, come più volte sottolineato dall’autore nel dipanarsi del racconto.

Quella sera si svolsero pressoché in contemporanea due azioni dimostrative contro il nazifascismo, pianificate da tempo e indirizzate contro due simboli del regime: l’Ufficio Annona del Comune di Carmignano e la Casa del Fascio di Comeana, bersagli designati dal gruppo di patrioti riunitosi intorno a Bogardo di comune accordo con il CLN di Firenze. A quei tempi si usava infatti il termine patriota e non partigiano, ad indicare quelle persone che lottavano per affrancarsi dal giogo del fascismo e dell’oppressione nazista, assecondando un anelito di libertà che aveva stringenti analogie con i moti risorgimentali, quando gli italiani conquistarono l’indipendenza dal dominio straniero e dettero vita ad un governo di unità nazionale. Non a caso alcuni storici parlano proprio di secondo Risorgimento, ogniqualvolta si riferiscono al periodo della Resistenza.

In quella fredda sera di marzo, rischiarata appena dalla luce della luna, si svolsero dunque le due azioni: alle 20 venne lanciato un ordigno esplosivo nella piazza Giacomo Matteotti di Carmignano, all’indirizzo dell’ufficio deputato al controllo dei cereali (detto anche annonario), che produsse solo lievi danni al mobilio e al carteggio; mentre intorno alle 20.30 furono sparati diversi colpi di arma da fuoco (sicuramente di moschetto, forse anche di mitra) nei pressi di piazza Cesare Battisti a Comeana, in direzione del bar del dopolavoro della Casa del Fascio, che provocarono due vittime: Dante Bologni, un uomo di famiglia fascista di quasi quarantasei anni, venne trapassato da un proiettile che gli attraversò il torace e ne causò il decesso in pochi minuti; Giovacchino Ballerini, un giovane non vedente di neanche ventidue anni, si spense in ospedale due giorni più tardi per complicazioni dovute alla pallottola che gli si era conficcata nell’addome.

Nelle intenzioni di chi sparò non c’era la volontà di uccidere, ma soltanto quella di compiere un’azione dimostrativa, colpendo un simbolo della dittatura fascista, eppure l’avventatezza dei tiratori – probabilmente giovani, inesperti ed impulsivi – portò alla morte di due persone. Quando la porta del bar si dischiuse, squarciando il buio della notte, uno dei proiettili esplosi dal gruppo di Buricchi raggiunse due degli avventori del locale, ponendo fine alle loro vite. Gli attentatori non avevano previsto quella possibilità, non avevano preso in considerazione l’ipotesi che quella sparatoria potesse sortire effetti letali. Su quel tragico avvenimento calò da subito un silenzio totale, che ha resistito fino al 2010, quando uno dei cosiddetti ragazzi di Bogardo ha raccontato come andarono le cose, in un colloquio liberatorio svoltosi in un clima di completa tranquillità. Fino ad allora Lorenzo Petracchi, che aveva iniziato ad effettuare ricerche sull’accaduto già da alcuni anni, si era scontrato con un muro di oblio ed omertà, parlando con persone che non sapevano, si trinceravano nel silenzio, esponevano solo in parte o fornivano una versione volutamente distorta dei fatti.

Anche Enzo Faraoni, amico di Bogardo e parte del suo gruppo, fu reticente; ma non lo fu Alberto Moretti, che il 25 febbraio di quattordici anni fa rivelò l’arcano. A Petracchi, che gli chiedeva perché l’attentato di Comeana fosse stato avvolto da un fitto alone di mistero, l’artista rispose lucidamente, pronunciando queste parole: “Per preservare la memoria di Bogardo”. La frase gli uscì dalla bocca con serenità, pacatezza e distacco, uniti al sollievo caratteristico di chi si libera di un pesante fardello portato troppo a lungo. “L’occultamento fu spronato dalla volontà di non far pesare su quel gruppo di giovani, che avevano organizzato l’attentato, quei due morti”, scrive Lorenzo Petracchi. “Un comportamento che volle essere umanitario, ma che penso debba essere da rivedere analizzando il suo divenire. Non riesco né posso condividere questo pesante silenzio. Mi appare come un’ombra di colpevolezza che mi sono proposto di rimuovere. Occultando quell’azione ardimentosa, si mistifica, si riveste di dolo, di intenzionale volontà di uccidere una operazione che (vista nella sua genuinità) ebbe solo un tragico epilogo, imprevisto e non intenzionale”.

La rivelazione di Moretti è perfettamente compatibile con – anzi avvalora – le testimonianze di diverse persone che avevano conosciuto Buricchi, e che riferivano che il giovane si scioglieva in un pianto inconsolabile tutte le volte che sentiva nominare Comeana. Una verità difficile da accettare per quanti in Bogardo esaltano il massimo protagonista della Resistenza carmignanese, l’eroe assoluto dell’attentato dell’11 giugno 1944 a Poggio alla Malva, ma che in realtà nulla toglie al valore delle sue imprese, e che in quelle lacrime rivela la sua immensa umanità. “Bogardo che piange mi ha toccato – confessa Lorenzo Petracchi, e continua –: Bogardo piange perché consapevole del tragico errore. Ma c’era una guerra, peggio ancora una guerra civile, e nelle guerre civili capita che non si uccidono solo i nemici, ma anche i vicini di casa”. “Di quella guerra civile ci sono risvolti contrastanti, vite perdute e stroncate nei verdi anni, azioni eroiche e meschine imprese, c’è l’essenza dell’uomo eroico e pavido, valoroso e vile, l’uomo nella sua essenzialità al di fuori di ogni ideologia – prosegue Petracchi, e chiosa –: Aggressori e aggrediti, vittime gli uni e gli altri di un fatale periodo storico, poeri cristi avvinti da avvenimenti subiti e non sempre da loro determinati, tutti da ricordare, da celebrare, ma senza retorica”.

Lorenzo infine si spinge oltre, facendo una considerazione che può essere intesa al tempo stesso come una provocazione, un invito, un appello a commemorare tutte le vittime innocenti del conflitto civile, senza distinzioni di sorta. Secondo le sue ricerche nel 1944 nel comune di Carmignano (di cui all’epoca faceva parte anche Poggio a Caiano) furono registrati oltre sessanta decessi dovuti ad azioni di guerra, la maggior parte dei quali (ventotto su sessantasei) riconducibili agli angloamericani, salutati come coloro che insieme ai partigiani liberarono l’Italia dalla dominazione nazifascista, mentre solo diciotto imputabili ai tedeschi, condannati unanimemente come gli invasori. Se i martiri di guerra sono tutte vittime innocenti, si chiede Petracchi, per quale motivo allora ogni anno si ricordano (giustamente) i cinque caduti di Artimino, uccisi dai nazisti, mentre nessuno ad esempio ha mai speso una parola in memoria della piccola Diana Londi, una bambina di Carmignano che morì alla vigilia del suo dodicesimo compleanno, sventrata da una scheggia di un cannoneggiamento alleato mentre stava andando a prendere il latte per la sorellina nata da pochi giorni? Un interrogativo su cui riflettere, in vista di una celebrazione inclusiva, che renda indistintamente omaggio ad ogni singola persona travolta dal secondo conflitto mondiale e dalla guerra civile che in Italia ne costituì la drammatica conclusione. (Barbara Prosperi)

Su Bogardo Buricchi, Enzo Faraoni, Alberto Moretti e i fatti dell’11 giugno 1944 si possono leggere i seguenti articoli:
Bogardo Buricchi: uomo, poeta e scrittore
Un libro su Enzo Faraoni
Alberto Moretti, maestro dell’arte informale
I ragazzi di Bogardo Buricchi
L’11 giugno 1944

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