Una guida
Sala dopo sala, nel museo del vino
Il Museo della vite e del vino di Carmignano è indubbiamente un museo del vino, che del vino cerca di raccontare la storia muovendosi per pannelli frutto di un’attenta ricerca come in una sorta di racconto illustrato. Ma il vino diventa anche un pretesto per raccontare, a sua volta, delle genti che abitano ed hanno abitato Carmignano, della loro storia e cultura. E’ un museo del territorio: o del “terroir”, come si direbbe meglio in francese. Possibile inizio e fine di ogni viaggio a Carmignano.
Ecco così che nelle sale del museo si susseguono le citazioni che del vino di Carmignano hanno fatto letterati illustri e meno illustri, pittori e poeti. Ecco gli Etruschi e Romani con i loro crateri lasciati nelle necropoli disseminate sul Montalbano, ecco il Medioevo con le luminose ceramiche di Bacchereto e la mezzadria che di fatto ha ridisegnato e modellato il paesaggio della nostra regione, ecco l’etnologo svizzero Paul Scheuermeier che nei primi decenni dei Novecento scelse per la sua ricerca Carmignano, esemplificativa e peculiare allo stesso tempo. E poi ancora il banco dei granduca Cosimo III de’ Medici del 1716, prìmo esempio al mondo di denominazione d’origine controllata ante litteram (precedette di oltre un secolo la AOC francese), gli apprezzamenti del mercante Datini di Prato nel Quattrocento, il vino che prendeva la via per l’estero, le intuizioni di Filippo Mazzei a metà del Settecento per ridurre la pratica dei governo ed eliminare il “mal di mare” del vino di Carmignano (che tanto successo riscuoterà poi in Inghilterra), la citazione del D’Annunzio, le vecchie cantine Niccolini.
In un museo della vite e dei vino, immerso in un territorio ancora oggi particolarmente vocato, non poteva infine mancare un collegamento con i tempi che stiamo vivendo e con la tecnica odierna. Il legame sta nelle vetrine posta nella prima sala e in un cd multimediale ideato da Ugo Contini Bonacossi e Luciano Ardiccioli.
A.
L’ingresso al Museo si affaccia sulla centralissima Piazza Vittorio Emanuele II.Lo stretto corridoio che il visitatore è costretto a percorrere quasi sembra voler dare la sensazione di attraversare il filare di una vigna virtuale, immersa in una dimensione senza tempo. Sulle pareti troviamo difatti la riproduzione di due opere di Bartolomeo Bimbi (1648-1729) conservate nella vicina villa medicea di Poggio a Caiano. I pannelli, che riproducono rispettivamente 37 e 38 tipi di uve diverse, ci informano su quali vitigni all’epoca fossero in loco coltivati (alcuni da tempo scomparsi) e ci suggeriscono come nel corso dei secoli ci sia stata una continua evoluzione e ricerca anche in questo campo.
B.
Dall’ingresso arriviamo alla prima sala. Per un museo del vino non si potevano forse scegliere locali migliori. Volte e pavimenti di cotto intriso di storia, quelle che percorrete sono parte delle ex cantine Niccolini, storica casa vinicola carmignanese che sorgeva nel palazzo che ancora oggi si affaccia su piazza Matteotti (poco sopra il Museo), di fianco al municipio e da cui nel 1880 partivano fusti di vino diretti in Svizzera, Austria- Ungheria e Germania.Una vecchia immagine dell’azienda si trova nella penultima stanza. Entrando in questa prima sala, sulla parete di destra, il visitatore trova una selezione della attuale produzione vinicola locale, di fronte un mobile con libri di enologia e parte della collezione Melis, ottocento bottiglie da tutto il mondo raccolte da questo storico dell’economia con la passione per il Datini di Prato e il vino.
Ci sono i tavoli per le serate di degustazione, un grande schermo per la visione di filmati e un angolo multimediale. Tra i video disponibili nell’archivio del museo ci sono anche una serie di interviste ad anziani contadini realizzate a partire dagli anni Ottanta dall’amministrazione comunale, in collaborazione con Giovanni Contini della Soprintendenza Archivistica della Toscana: le testimonianze raccolte raccontano la Carmignano che fu e vecchi mestieri oramai estinti.
C.
Tornando alla fine del corridoio iniziale si apre un altro lungo atrio da cui, come in una sorta di racconto illustrato, inizia la vera e propria narrazione della storia del vino di Carmignano, preceduta da pannelli sulla storia dei recipienti usati per conservare il vino: il cratere etrusco, l’orciolo, il tipico fiasco impagliato. Disseminati un po’ ovunque, invece, numerosi pannelli di attrezzi agricoli. Un tempo c’era anche una tavola imbandita come una mensa medievale, con ceramiche ricostruite sulle base dei reperti rinvenuti a Bacchereto, che tra Medioevo e Rinascimento ospitava numerose e rinomate fornaci. Una apparteneva al nonno di Leonardo da Vinci. Quei reperti saranno esposti in un museo appositamente dedicato prossimo ad aprire a Bacchereto.
D.
Prosegue il viaggio e superiamo altre pietre miliari. Nel piccolo rientro il pannello sulla destra racconta il significato e la storia importante del Barco Reale, l’enorme parco da caccia mediceo a cui è stato pure intitolato un vino e che di fatto fu preso a riferimento per segnare i confini della produzione del Carmignano nel bando granducale del granduca Cosimo III de’ Medici nel 1716, prima patente di nobiltà che anticipò di ben un secolo la celebre AOC francese. Il muro in pietra, che lo racchiudeva in tutto il suo perimetro, era lungo 52 chilometri ed alto anche due metri, controllato da guardiacaccia.Davanti al pannello un antico strettoio in legno del Seicento. Nel corridoio sulla sinistra una lunga carrellata di cabrei e vecchie carte di fattorie, alcune ancora esistenti, ci descrivono invece la metamorfosi del territorio e l’azione che su di esso ha svolto l’uomo, che l’ha modellato coltivandolo. Un piatto diviso a metà (ma le due metà, a ben guardare non sono proprio uguali) ci ricorda lo storico contratto agrario che ha caratterizzato la nostra agricoltura dalla fine del 1700 fino agli anni Ottanta. “La mezzadria, che dividendo il raccolto fra proprietario e lavoratore era uno stimolo ad una maggiore produttività, – racconta oggi qualche proprietario terriero – negli anni Cinquanta e Sessanta fu per taluni anche scuola di economia, tant’è che certi mezzadri e fattori sono diventati imprenditori tessili talvolta”.
D/E.
Nel vano di passaggio è riprodotto uno scorcio di vinsantaia, con i suoi tipici cannicci.
E.
Dietro al vino e all’agricoltura a Carmignano si nascondono comunque storie di uomini e di luoghi. Paul Scheurmeier, etnologo svizzero, le ha raccolte dal 1919 al 1930 per l’Atlante Linguistico ed Etnografico dell’Italia e della Svizzera, ritenendo Carmignano peculiare per molti aspetti ma anche emblematica di tante altre realtà contadine in Italia.
l. La terza sala, sul lato sinistro, è tutta dedicata a lui e a quella ricerca sul vissuto quotidiano e la cultura contadina, i suoi costumi, utensili ed attrezzi, che 10 portò a percorrere l’Italia centrale e settentrionale. A Carmignano Scheuermeier scattò 63 foto. Di quelle sono state scelte le immagini dedicate al ciclo di coltivazione della vite e di produzione del vino, riprodotte su grandi pannelli accanto alle didascalie originali tradotte dal tedesco e i disegni, anch’essi numerosi, del collaboratore Paul Bosch. Di fronte a quelle immagini, nelle teche o appesi alle pareti, troviamo proprio alcuni di quei vecchi attrezzi agricoli immortalati.
2. Sul lato opposto della sala – con un contrasto voluto tra colore e bianco e nero ed una sistemazione che ne è speculare – troviamo invece altro foto, più recenti: frutto di una ricerca sul mondo mezzadrile al tramonto condotta da Vittorio Cintolesi fra il 1980 ed il 1990. E’ un viaggio nella sua terra e tra i ricordi. A far da didascalie a quelle istantanee sono stati scelti frammenti di poesie, trattati e racconti di Esiodo, Catone, Marone, Tibullo, Gilgamesh, Mahabbarat e Leonardo da Vinci, quasi a voler suggerire e dimostrare che quelle immagini, quelle tecniche e strumenti ritratti, nonché la stessa coltivazione della vite, hanno radici che affondano nei millenni e si diramano in più parti del mondo. Scene mediterranee di epoche e mondi diversi,lungo un arco di tempo millenario, spesso incredibilmente identiche. Un pannello con foto di Cintolesi e citazioni antiche si trova anche di fronte allo strettoio che avete visto poco prima.
F.
La quarta sala è una sorta di biblioteca virtuale: una citazione continua di fonti inedite di archivio e ricerche bibliografiche, uno stimolo ad ulteriori ricerche. Il senso è quello di dimostrare come il vino di Carmignano fosse apprezzato ed omaggiato anche in passato, ma anche metterne in luce le curiosità sulla composizione dei vitigni, la sua storia e metamorfosi. Pietra miliare importantissima: il bando del Granduca Cosimo III dei Medici del 1716, che per quel vino di Carmignano (accanto al Chianti, Pomino e Valdarno) stabilì precise e severe norme di produzione che di fatto anticiparono i contenuti delle odierne DOC e DOCG chelo stesso vino conquistò poi nel 1975 e 1990. Nella sala c’è anche una vecchia e piccola macina per la farina, nonché accenni ad altre due colture importanti e storiche di questo territorio: i fichi (essiccati ed appicciati in una maniera del tutto speciale) e l’olivo con il suo olio anch’esso assai apprezzato.
L’ultima stanza, su cui ci si può solo affacciare, ospita ancora altre bottiglie della collezione privata dello storico dell’economia Federigo Melis, che nel suo peregrinare per l’Italia e l’Europa (ed anche oltre) ne raccolse centinaia. In tutto sono più di ottocento, vecchie in taluni casi anche un secolo.
(da un testo di Walter Fortini)