Alla vigilia del 25 aprile 2011
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"Meglio morire che stare con i fascisti"
Che cosa è la libertà ritrovata? Cosa è stata la liberazione dalla guerra, dal fascismo e dall’oppressione che si festeggia il 25 aprile? Una risposta arriva da un vecchio quaderno dalle pagine ingiallite: una gioia che ti porta a piangere e quel pianto che è troppo bello fare per essere nascosto. Ce lo racconta Corrado, in un diario, neppure troppo sgualcito per i suoi sessantasei anni, che il figlio Alessandro ha ritrovato in una scatola di vecchi ricordi, dimenticata.
Corrado Capecchi da quasi tre anni e mezzo non c’è più. Durante la seconda guerra mondiale si trovava in Albania come carabiniere ausiliario e fu deportato ed internato in un campo di lavoro nel nord-ovest della Germania: a Wietzendorf, tra Hannover e Braunschweig. Quel quaderno, nascosto chissà come, è il suo diario di prigionia.Corrado fu catturato dopo l’armistizio dell’8 settembre: 600 mila soldati italiani che partirono, molti meno che tornarono, protagonisti di una “Resistenza senz’armi”.
Nel 1943 aveva 22 anni. Ci aveva raccontato la sua storia più di quindici anni fa. Poi l’aveva raccontata, più tardi, anche ai ragazzi delle scuole. In tanti in paese lo conoscevano: un nonno con più di ottanta anni che viveva nella centralissima piazza di Carmignano. Nel 2002 scrisse anche al presidente Ciampi per raccontare le tante beffe subite dagli internati militari italiani: il silenzio patito fino al 1977, gli spiccioli tedeschi annunciati nel 2000 ma riconosciuti solo ai civili deportati. “Combatto non per i soldi ma per un principio” diceva. Si è spento con la consolazione di una medaglia d’onore annunciata ma che non ha fatto a tempo a vedere.
Quel diario era sempre rimasto chiuso in un cassetto, dimenticato. E ritrovarlo, soprattutto per il figlio, è stato un autentico tuffo al cuore. Il racconto inizia il 25 settembre 1943 e termina il 12 aprile 1945. Sono solo ventuno i giorni raccontati: poche pagine in fondo, perché la carta “era poca”, perché sette mesi li ha passati in ospedale (la sua fortuna, probabilmente) e perché la speranza si affievoliva e la voglia di scrivere anche. Poche pagine, ma intense. Ed anche ben scritte. Libertà è la parola si ripete quasi ogni pagina e tra le più citate, assieme a Dio e alla mamma. Si legge la disperazione: “Tutto ciò non può durare a lungo, sarebbe orribile” scrive il quarto giorno. Si descrivono il freddo, la prima neve e le crudeltà ed angherie a cui sono sottoposti gli internati, che lavorano come Corrado con “pala e piccone” a costruire baraccamenti di ogni tipo, mentre nelle fabbriche lì vicino si producono improbabili anfibi, aerei e le note bombe volanti C1 e V2. Li chiamavano ‘stik’, pezzi.
“Ci bastonano per niente – annota -, ma Dio un giorno li punirà. Che cosa abbiamo commesso di male?”. E poi ancora: “Si mangia tanto che basta per reggersi in piedi”. Ogni giorno all’alba dovevano percorrere un sentiero sconnesso e fangoso di almeno cinque chilometri. Ai lati c’erano piantagioni di barbabietole, patate e carote. Ma guai a staccare solo un frutto: le punizioni erano esemplari. C’è anche la delusione per il fascismo e la guerra: “Dopo lunghi anni di infiniti sacrifici, questa è stata la ricompensa” scrive ancora il 2 ottobre.
La preghiera è l’unico conforto. Le preoccupazioni maggiori sono per i cari, che non ricevono notizie. Finalmente a Natale ai prigionieri viene permesso di scrivere una cartolina. “Speriamo che arrivi” confida Corrado al diario. Ma piuttosto che combattere al fianco dei tedeschi nella Repubblica di Salò preferirebbe morire. Nei campi degli internati si reclutavano soldati. “Un corvo fascista è venuto a cercare volontari. – racconta – Ben pochi, anzi pochissimi sono chi aderisce. (…) Siamo irriconoscibili, visi vuoti ed emaciati, pallidi e sofferenti e tutti abbiamo fame, fame , fame. (…). “ Io – spiega Corrado – preferisco però morire di fame che combattere per questi mostri inumani di tedeschi”. Perché la libertà in fondo è figlia anche di idee e di un ordine morale che non ammette baratti. (wf)