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La storia del campione carmignanese delle due ruote
E’ stato tra i più rilevanti campioni italiani di ciclismo della seconda metà del Novecento il carmignanese Franco Bitossi, che ha da poco tagliato il traguardo degli ottant’anni, e che per l’occasione è stato festeggiato nel suo comune di origine con una grande cena tenutasi alla Misericordia di Carmignano (vedi “Una cena per Franco Bitossi” di Barbara Prosperi). Nato il 1° settembre del 1940 a Camaioni, nella porzione del borgo che appartiene al Comune di Carmignano (le altre due sono di pertinenza di quelli di Montelupo Fiorentino e di Capraia e Limite), dopo svariati anni di esperienza nelle categorie degli allievi e dei dilettanti, nel 1961 fece il suo ingresso nei professionisti e vi rimase fino al 1978, collezionando un totale di 171 vittorie su strada, in una lunga carriera che lo portò ad eccellere a livello sia nazionale che internazionale e a conquistare ai suoi tempi il primo posto nella graduatoria dei ciclisti azzurri più vittoriosi di sempre (oggi è quinto in classifica, alle spalle di colleghi di assoluto prestigio come Francesco Moser, Giuseppe Saronni, Mario Cipollini, Alessandro Petacchi). Tra le tante affermazioni si ricordano ventuno tappe vinte al Giro d’Italia, quattro al Tour de France, una edizione del Tour de Suisse (1965), due del Campionato di Zurigo (1965 e 1968), due del Giro di Lombardia (1967 e 1969), la Tirreno-Adriatica (1967), tre titoli nazionali su strada (1970, 1971 e 1976) e due nel ciclocross (1977 e 1978), la medaglia d’argento (1972) e quella di bronzo (1977) ai campionati del mondo su strada.
Venuto alla luce in una famiglia di umili origini, Bitossi iniziò ad appassionarsi al ciclismo seguendo le imprese di Bartali e Coppi, che nel secondo dopoguerra infiammarono le tifoserie italiane (come la maggior parte dei toscani Franco parteggiava per Gino), e con delle biciclette non professionali cominciò a disputare delle gare amichevoli con i suoi coetanei, salendo spesso da Camaioni verso il castello di Montelupo Fiorentino (dove tra l’altro aveva trovato impiego come operaio in una fabbrica di ceramiche), durante le quali si mise in luce perché era il più veloce di tutti. Dividendosi tra il lavoro e gli allenamenti, nel 1957 il giovane iniziò a correre seriamente, e grazie agli ottimi risultati ottenuti nel giro di quattro anni entrò nella categoria dei professionisti, dietro segnalazione di Alfredo Martini e per volere di Fiorenzo Magni, all’epoca direttore sportivo della Philco. Fu l’avvio di una brillante scalata al successo, che lo portò ad essere richiesto da svariate scuderie, quali la Springoil (1963-1965), la Filotex (1966-1972), con la quale colse i maggiori successi, la Sammontana (1973), la Scic (1974-1975), la Zonca (1976), la Vibor (1977), la Gis Gelati (1978). Ciclista completo, adatto sia alle competizioni di pianura che a quelle di montagna, dovette però confrontarsi con una cardiopatia che si manifestò frequentemente durante le corse e che gli procurò il soprannome di Cuore matto con cui è ricordato ancora oggi.
Afflitto da repentini attacchi di tachicardia sui quali influiva anche il suo stato psicologico ed emotivo, il campione era spesso costretto a ritirarsi o a fermarsi a bordo strada per aspettare che la frequenza del proprio battito diminuisse, per poi riprendere la gara con diversi minuti di ritardo sugli altri corridori, i quali finivano per compromettere irrimediabilmente l’esito della competizione. Questa anomalia, manifestatasi per la prima volta nel 1958, non gli impedì tuttavia di imporsi come uno dei più interessanti talenti delle corse su due ruote, accanto a protagonisti come Vittorio Adorni, Felice Gimondi, Michele Dancelli, Gianni Motta, Eddy Merckx e tanti altri, e in definitiva viene da chiedersi se in assenza di quella cardiopatia Bitossi avrebbe potuto vincere ancora di più. Dopo il ritiro dall’attività agonistica e una breve parentesi come direttore sportivo, Franco si è dedicato per vent’anni all’agricoltura, coltivando un oliveto di circa dodici ettari e ricavandone un ottimo olio extravergine d’oliva, nel territorio di Capraia, poi con l’avanzare dell’età ha ceduto il terreno e si è concentrato sul gioco delle bocce, dove si è anche affermato come campione italiano over 60. Attualmente abita ad Empoli insieme alla moglie Annamaria, dalla quale ha avuto i figli Massimiliano e Francesco.
La leggenda vuole che il ponte di Camaioni, costruito negli anni Settanta e intitolato proprio a Franco Bitossi, sia stato messo in opera per consentire al ciclista di allenarsi in pianura, raggiungendo agevolmente la SS67. Benché si tratti appunto di una leggenda, divulgata dalla popolazione locale, è certo che il campione si prodigò effettivamente affinché il ponte venisse edificato e fossero finalmente unite le due rive dell’Arno, per collegare le quali fino al 1976 veniva utilizzata una barca che faceva la spola tra i due opposti versanti. (Barbara Prosperi)