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La vita del dottor Nencioni in un libro
Era arrivato alla fine del 1938 da Pontassieve, trentenne. E fu subito amore, reciproco. Per quarant’anni. Anzi, di più. Fino a quando all’inizio del 1984 il cancro se l’è portato via. E’ la storia di Pietro Nencioni. «Un medico come tanti, non un eroe» dice la nipote, Sylva Batisti. Un medico condotto d’altri tempi. Una storia ‘ordinaria’, ma sicuramente da raccontare. E infatti, per la gioia di molti, sul nonno la nipote ha deciso di scrivere un libro, da leggere tutto d’un fiato.«Un’idea venuta quattro anni fa» racconta. Un modo solo per fissare la memoria, all’inizio: esigenza familiare. Il racconto di un pezzo di paese, alla fine: su quello che eravamo e siamo diventati. Nel libro ci sono i suoi ricordi di bambina (e i racconti della mamma). Aveva dodici anni quando il nonno è scomparso. Ma ci sono anche le voci di tanti altri compaesani. Con qualche ricerca in archivio e riflessione più ampia, che tradisce il mestiere di pedagogista e la passione per la filosofia. E in tanti la settimana scorsa sono così venuti in palazzo comunale alla presentazione del volume, occasione per ricordare il dottore: dopo la benemerenza del 1966, dopo il cavalierato del 1967, dopo che nel 1994, dieci anni dopo la morte, un gruppo di cittadini raccolse tante firme per intitolargli una strada.
Pietro Nencioni era il medico di famiglia per antonomasia:quello che chiami per un’influenza o questioni più gravi, quando il medico condotto (e poi della mutua) era allo stesso tempo «psicologo, pediatria, ginecologo, assistente sociale, dermatologo, consulente matrimoniale e forse anche veterinario». Laurea a Firenze, prima sostituzioni attorno la città e in Valdarno, sottotenente e medico militare in Eritrea tra il 1935 e il 1936, Pietro Nencioni ottenne la condotta di Carmignano qualche settimana prima del Natale del 1938. Era il medico che trovavi in ambulatorio fino a tarda sera, racconta chi l’ha conosciuto, o che girava da una parte all’altra del comune con la sua Topolino grigia, prima in Lambretta e più tardi con una Cinquecento color nocciola: cappello sulla testa calva e passo svelto, in mano la borsa in pelle diventata la copertina del libro. Aveva sempre la parola giusta, perché anche questo aiuta a guarire o lenire il dolore. Per rompere il ghiaccio usava la battuta pronta. Un po’ ottocentesco, sorridente e disponibile, era il medico «delle visite lunghe e premurose» e a chi non aveva grandi possibilità e chiedeva quanto dovesse rispondeva «Basta una preghierina».
Credente forse, ma non praticante. Liberale e un po’ anticlericale. Era il medico amico e di tutti. E così fece breccia nel cuore dei carmignanesi e ancor più nei baccheretani, suoi primissimi pazienti. «Sapeva più cose di noi di un sacerdote» racconta qualcuno. Quando dovette lasciare Bacchereto ci fu quasi una rivolta. Raccolsero firme per riaverlo. Non ci riuscirono e molti continuarono a recarsi a Carmignano. Tanti i ricordi. «D’inverno arrivava con le scarpe pesanti che si levava prima di entrare in casa, per non sporcare con il fango». «Arrivò di notte con il cappotto sopra il pigiama e rimase fino al mattino, quando mio figlio riprese a respirare regolarmente». «Mia figlia è viva grazie a lui: veniva anche due volte al giorno a controllarla».«Venne con la pila di notte nei campi a vedere la mia mamma che stava morendo». Ci
sono poi le riflessioni annotate in un vecchio diario rosso del 1966 chiuso. «In medicina – appuntò un giorno – dare il meglio di sé non è un lusso ma un preciso dovere».Vale ancora oggi. Il libro (12 euro) è in vendita all’edicola La Coccinella di Carmignano. (wf)
Il pezzo è stato pubblicato sull’edizione di Prato del Tirreno il 5 dicembre 2012
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