Spiegare cosa è la festa di San Michele non è semplice. C’è lo spettacolo, che non ti aspetti e che lascia di stucco chi ci si imbatte per la prima volta. Ma lo vedi, la prima volta, e capisci. Forse ancora più difficile è spiegare come il San Michele viene vissuto all’interno dei quattro rioni e cosa significa essere un rionale. Devi parlare con chi abita nelle contrade (e non basta). Devi viverlo. Ed è lì che comprendi come e perché da ottantatré anni la festa riviva, con la stessa forza, ogni settembre.
Essere rionale durante la festa di San Michele a Carmignano significa essere fedele al colore della propria bandiera e vivere l’esperienza della festa come se ogni anno fosse la prima volta. Essere rionale significa trasferire la propria passione all’interno di una storia, che diventa la storia di tutti. Essere rionale significa soprattutto, ad una settimana dall’inizio della festa, trasferirsi fisicamente alla sede del cantiere, fare le ore piccole e correre dietro al tempo che non è mai abbastanza.
Dal 2011 la festa di San Michele è diventata ufficialmente, su depliant e manifesti, “teatro in strada”. Nei tre giorni in cui si svolge la competizione tra i quattro rioni in cui è suddiviso Carmignano, le vie principali e la piazza centrale del paese si trasformano in un palcoscenico a cielo aperto. A San Michele infatti sfilano tutti, nonni di novanta anni accanto a neonati di poche settimane. Chi è nato e cresciuto all’interno della festa, porta con sé, oltre a un’esperienza che si rinnova ogni anno, anche un bagaglio di ricordi di infanzia. Settembre senza avere partecipato alla festa non sarebbe quindi per molte persone la stessa cosa..
“Abito a Carmignano da quando sono nata – racconta Chiara Fratoni (37 anni, Rione Celeste) – e mi vesto nel Rione Celeste dagli anni Ottanta. Il mio primo ricordo è una fotografia che ritrae me e la mamma vestite da contadine su un barroccio trainato da un ciuchino. Ricordo che per ogni edizione del San Michele c’era sempre da cercare qualcosa di particolare per vestirsi, un anno ai miei fratelli servivano un paio di stivali celesti lucidi”.
La festa di San Michele è una tradizione che viene tramandata di generazione in generazione e che viene coltivata in molte famiglie carmignanesi dalla tenera età. Molti bambini infatti iniziano a partecipare alla festa come figuranti, poi crescendo si ‘specializzano’ diventando carristi, sarte oppure registi. Sono tanti infatti i ‘mestieri’ del San Michele, anche se la festa di ieri non è più la festa di oggi: il tempo lascia il suo segno, si evolvono le tecniche ed è cambiato talvolta anche lo spirito.
“Il tempo passa e di conseguenza anche la festa cambia – conferma Elena Luzzi (28 anni, Rione Verde) -: dall’ultima vittoria dopo diciassette anni di digiuno il senso di aggregazione all’interno del Rione Verde è di nuovo forte ma le sfilate vecchie, quelle vissute con la nonna, da cui ho ereditato l’arte dell’ordine, sono ormai un ricordo che porto nel cuore e questo in fondo dispiace molto”.
Come ogni spettacolo teatrale che si rispetti anche il San Michele ha un dietro le quinte che non è rappresentato soltanto dal cantiere, dove vengono costruiti ed allestiti i carri, e dalla sartoria. Il dietro le quinte della festa ha infatti la durata di un anno. A edizione conclusa ogni rione, dopo avere festeggiato la vittoria oppure digerito l’amarezza della sconfitta, riparte per ideare la nuova sfilata. Questo lavoro prosegue nei mesi invernali tra riunioni, cene ed attività di volontariato, con cui ogni rione cerca di finanziare l’allestimento della nuova sfilata. Perché il San Michele è una festa che affascina, ma anche costosa.
Tra maggio e giugno si svolge la presentazione ufficiale dei temi in sala consiliare, che – come vuole il rito ormai consolidato – è una breve anticipazione tra il detto e il non detto degli spettacoli che i rioni metteranno in scena a settembre. Da quel momento in poi vengono ufficialmente aperti anche i lavori estivi ai rispettivi cantieri, che diventano nel mese di settembre un via vai continuo di volontari e di figuranti.
“Sono cresciuta a pane e Rione Bianco – spiega Vanessa Benelli (22 anni, Rione Bianco) -, per me non esiste estate senza San Michele, senza le notti passate in sartoria, dove ad una settimana dalla festa succede di tutto. È una corsa continua e allo stesso tempo un gran caos con il cd della sfilata mandato a ripetizione nello stereo, il rumore della sparapunti, l’odore delle stoffe, le risate, la paura di non farcela a finire in tempo e l’eccitazione la sera prima della sfilata, una delle più attese dell’anno”.
Poi arriva il giorno tanto atteso. La festa da anni attira numerosi spettatori e riunisce anche tanti giovani non solo di Carmignano.
“Sfilo nel Rione Giallo da cinque anni – conclude Cristina Bianco (20 anni, Rione Giallo) – e ogni volta che sto per scendere in piazza, prima che il presentatore dia il via alla sfilata, sento l’adrenalina salire, insieme alla voglia di mettermi in gioco e di esibirmi dando sempre il massimo per il rione e per rendere onore a tutte le fatiche che gli organizzatori, che sono anche figuranti, hanno profuso per la sfilata nei mesi precedenti”.
A quel punto non resta che godersi lo spettacolo. Ma l’adrenalina che ogni figurante prova all’ingresso in via Roma e l’adrenalina che ogni regista sente vedendo in piazza la ‘sua’ sfilata, che fino a quel momento aveva potuto soltanto immaginare, rimane la cosa più bella prima che venga lasciata la parola al rione. Ed è in quegli attimi, stretti nell’imbuto di via Modesti, che il senso di appartenenza alla contrada si fa sentire con tutta la sua potenza. (Valentina Cirri)
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