“Olio con sapiente arte spremuto – cantava nel Novecento Gabriele D’Annunzio – (…) le tue rare virtù non furo ignote alle mense d’Orazio e di Varrone”.
Gli olivi che punteggiano le colline toscane e che copiosi affollano quelle del Montalbano hanno una storia antica. Sono arrivati dall’Oriente passando per la Magna Grecia e l’olio che se ne ricavava, fin dai tempi degli Etruschi, si afferma come un prodotto di pregio, consumato principalmente dagli aristocratici.
La produzione continua poi nel Medioevo e dai feudi passa nei poderi dei mezzadri. Gli olivi sono lì da millenni, con il loro tronco nodoso e contorto che tende al grigio e la chioma cespugliosa. Ci sono però stati tempi in cui di olio non se produceva tantissimo e in ogni caso lo si consumava in modo parsimonioso. In un documento del IX secolo si parla del “tempus de laride”: il lardo superava l’olio nel consumo quotidiano, tanto da diventare un periodo del calendario agricolo dell’anno. Ancora tra il Tre e Quattrocento il mercante pratese Francesco di Marco Datini annotava la produzione di appena 70 chili di olio nei suoi poderi contro i 270 quintali di cereali e altrettanti di vino.
L’olio è presente nelle opere di poeti e scrittori. Lo citano Boccaccio nel Decamerone e Petrarca nel Canzoniere. Lo cita Dante Alighieri nella Divina Commedia, al canto XXI del Paradiso, che lo descrive come “cibo di liquor d’ulivi” e Beatrice, nel canto XXX del Purgatoriio, come “cinta d’uliva”. Poi, nel corso del Quattrocento, per volere dei Medici la coltivazione di questa pianta prende campo, con l’olio esportato oltre i confini toscani su navi in partenza dal porto di Livorno. Frantoio, moraiolo e leccino sono all’inizio del Cinquecento le varietà più diffuse, come ancora oggi, e a partire dal Settecento l’olivicoltura si afferma in quasi tutta la Toscana, pur dovendo fare i conti con il tempo e le gelate sempre in agguato. Terribile fu la nevicata del 1709, che danneggiò buona parte della produzione con ripercussioni (anche) sul prezzo dell’olio.
L’olivo che avvolge i paesaggi toscani inizia nell’Ottocento ad attirare l’attenzione anche dei pittori, diventando spesso il soggetto preferito dai macchiaioli, tra cui Fattori e Signorini.
Nel Novecento i mezzadri affiancano all’olivo alberi da frutto, cereali e la vite. L’olio diventa un ingrediente essenziale in cucina e, oltre che consumato in casa, viene venduto nei mercati cittadini. Ma viene utilizzato anche per illuminare lanterne e lumicini e, nelle fabbriche tessili, per lubrificare gli ingranaggi delle macchine. (Valentina Cirri)