Ad un anno di distanza dall’annuncio con il quale nella primavera del 2016 fecero sussultare gli ambienti dell’arte, della storia e della scienza , rivelando al mondo intero che contrariamente a quanto si riteneva la stirpe di Leonardo da Vinci non si era estinta, che erano stati individuati trentacinque discendenti (da parte del padre) dell’artista ancora in vita, e che alla luce di tali premesse si prospettava la possibilità di ricostruire il dna del grande genio rinascimentale, nelle cui vene scorreva un quarto di sangue carmignanese, Alessandro Vezzosi ed Agnese Sabato, storico dell’arte e direttore del Museo Ideale di Vinci il primo, storica e presidente della Associazione Internazionale Leonardo da Vinci la seconda, impegnati insieme ad una prestigiosa équipe di respiro internazionale nell’ambizioso “Leonardo da Vinci Project”, lo scorso 20 aprile 2017 hanno reso noti i progressi fatti nell’ambito delle loro ricerche, che nel caso specifico di Vezzosi durano senza interruzioni dal lontano 1973. Dopo aver illustrato i più recenti risultati delle indagini, che sono ulteriormente avanzate nel corso degli ultimi dodici mesi mediante il setaccio di nuovi luoghi ed archivi situati in diverse città sia italiane che straniere, sembra che le probabilità di riuscire a ricreare il codice genetico di Leonardo siano ancora più vicine e concrete di quanto apparissero un anno fa, e questo grazie a tre fondamentali elementi disponibili in maniera simultanea: la verifica degli eredi viventi in linea diretta maschile, il rinvenimento di una nutrita serie di sepolture, e la scoperta di due reliquie fino ad ora sconosciute.
In particolare il riscontro dell’esattezza dell’albero genealogico, recentemente epurato da alcune imprecisioni, costituisce un dato di estrema importanza, perché nel caso della discendenza di parte maschile il cromosoma Y conserva una notevole stabilità e rimane sostanzialmente invariato, subendo solo minime mutazioni, anche attraverso l’arco di quindici generazioni, che sono precisamente quelle passate in rassegna da Alessandro Vezzosi. Tuttavia anche se al momento sono stati determinati con certezza soltanto gli eredi provenienti da ser Piero, padre dell’artista, che dopo il primogenito ebbe altri dodici figli, i ricercatori impegnati nel “Leonardo da Vinci Project” sono al lavoro per rintracciare anche la genealogia materna, perché trovare i discendenti vivi o morti di Caterina significherebbe avere la possibilità di recuperare totalmente il corredo genetico di Leonardo tramite il dna mitocondriale, ovvero quella porzione del genoma che si trasmette solamente lungo la linea femminile. Tracce biologiche specifiche del pittore sono state attentamente cercate per molti anni sui suoi dipinti, sui disegni e sugli scritti, ma nonostante i numerosi tentativi non è stato rinvenuto niente di più delle impronte digitali. Con il reperimento delle reliquie che si dicono storicamente documentate in possesso di un collezionista privato la cui identità è celata nell’anonimato pare però che a questo punto le indagini possano progredire con nuovo slancio. “Il dna di Leonardo sembrava solo un’ipotesi o un miraggio, una fantasia per scoop mediatici – ha dichiarato a tal proposito Vezzosi –. Oggi è finalmente una concreta possibilità grazie ai risultati delle nostre ricerche che consentono di estrarre il dna da resti umani collegati con Leonardo e di metterlo a confronto con i suoi eredi consanguinei viventi”.
Rimane peraltro ancora aperta la speranza di poter accedere ai resti di Leonardo, sulla cui sorte tuttavia permangono tuttora molti dubbi ed incertezze. Il genio di Vinci, che sul declinare del 1516 si era trasferito alla corte di Francesco I di Francia, si spense in terra d’Oltralpe nel castello di Cloux, ad Amboise, nella valle della Loira, il 2 maggio del 1519. Conformemente alle sue volontà testamentarie fu sepolto nella collegiata reale di Saint-Florentin, edificio che venne demolito in epoca napoleonica nei primi anni dell’Ottocento. Sappiamo da documenti d’archivio che le lapidi e le pietre sepolcrali della chiesa furono utilizzate per restaurare il maniero di Amboise, che il piombo delle bare venne fuso per essere reimpiegato in altro modo e che una notevole quantità di scheletri fu abbandonata fra le rovine finché un giardiniere, turbato davanti allo spettacolo di alcuni bambini che giocavano a birilli con le ossa, le ricoverò pietosamente nell’angolo di un cortile. Non tutte le bare vennero sventrate, ma del resto in quel tempo si ignorava ormai dove fosse finita la salma dell’artista italiano, ed era risaputo che tanto nel periodo delle guerre religiose del XVI secolo quanto in epoca rivoluzionaria erano state numerose le devastazioni e le profanazioni subite dalla collegiata, tanto da far ritenere che i resti di Leonardo fossero già stati dispersi. Nel 1863 però il poeta Arsène Houssaye iniziò a condurre degli scavi nel luogo in cui una volta sorgeva Saint-Florentin e scoprì un imponente scheletro intatto in prossimità del quale si trovavano alcuni frammenti di una lastra su cui era impressa una iscrizione parzialmente cancellata che recitava LEO DUS VINC, ad indicare forse la sepoltura di “Leonardus Vincius”. Circa un decennio più tardi, nel 1874, le spoglie prima smarrite e poi nuovamente rintracciate furono inumate nel complesso del castello di Amboise, all’interno della cappella di Saint-Hubert, con una targa sulla quale venne riportato che quelli erano i presunti resti del celebre pittore.
Già nel 2004 un gruppo di studiosi sia italiani che stranieri tra i quali figurava anche Alessandro Vezzosi si era attivato per riesumare le supposte spoglie di Leonardo nella tomba di Amboise, ma ad un certo punto il progetto si era arrestato per molteplici motivi: per ragioni etiche legate al rispetto dell’individuo, per mancanza di permessi, ed anche perché non esisteva la possibilità di confrontare i resti in questione con sicure tracce biologiche appartenenti all’artista o ai suoi consanguinei. Adesso tuttavia il contesto è cambiato grazie al ritrovamento dei discendenti sia vivi che morti del vinciano e a quello di due sue reliquie, una delle quali pare essere in relazione con la sepoltura di Amboise. L’auspicio dei ricercatori è quello di riuscire a recuperare il Dna dell’illustre toscano entro il 2019, per celebrare in pompa magna il 500° anniversario della sua morte. “Tutto ora è pronto – ha annunciato Vezzosi – per entrare nella fase operativa delle indagini scientifiche più innovative che potrebbero rivelare fondamentali caratteri genetici e fisici del genio. Quella di Leonardo però – ha tenuto a precisare – non è tanto un’eredità materiale, quanto di conoscenza, culturale, morale, di rispetto e salvaguardia, che induce a non effettuare esami invasivi sulle opere d’arte, a non violare tombe, a rispettare protocolli etici e privacy, a difendere luoghi e memorie”. (Barbara Prosperi)