Le circostanze simili delle morti di Francesco dei Medici e Bianca Cappello, unite al fatto che Ferdinando era rimasto incolume, e che dopo la scomparsa dei fratelli maggiori Giovanni, Pedricco e Garçia gli si spalancavano le porte del granducato, fecero immediatamente sorgere il sospetto che il cardinale avesse somministrato del veleno al fratello e alla cognata. Tra le molte versioni narrate a riguardo la più insistente sosteneva che la Cappello avesse preparato con le proprie mani una torta avvelenata indirizzata al cognato, e che davanti alla titubanza di quest’ultimo, messo in guardia da un prodigioso anello che cambiava aspetto in presenza di sostanze tossiche, Francesco, ignaro del tranello, se ne servisse per primo per dare il buon esempio. A quel punto anche la donna, sentendosi spacciata, ne avrebbe mangiato una fetta per condividere la sorte del marito. Per fugare ogni dubbio Ferdinando fece eseguire l’autopsia sui corpi della coppia granducale. I medici che si occuparono dell’esame certificarono che Bianca e Francesco erano deceduti per febbre terzana, ossia per una forma perniciosa di malaria, tuttavia non va negletto il fatto che i luminari erano stati accuratamente scelti dall’ecclesiastico tra i suoi più fidati collaboratori, e che alcuni colleghi che avevano assistito all’indagine autoptica affermarono che le viscere di entrambi i cadaveri sembravano consumate da una sostanza corrosiva. Tale ipotesi pareva suffragata in particolar modo dall’aspetto di Francesco, le cui mani erano rimaste drammaticamente contratte per gli spasmi dovuti ai crampi addominali, e sul volto del quale erano impressi i segni di una grande sofferenza.
L’enigma della sepoltura
Secondo la consuetudine del tempo i corpi dei granduchi vennero svuotati delle interiora e sottoposti ad imbalsamazione. Gli organi interni furono riposti in quattro contenitori e collocati nella piccola chiesa di Santa Maria a Bonistallo, su una collina prospiciente la villa medicea. Ferdinando dispose funerali solenni per il fratello, che nottetempo fu trasferito a Firenze, scortato da una imponente schiera di uomini muniti di duecento fiaccole. Francesco venne esposto nella basilica di San Lorenzo e ricevette l’omaggio di gran parte dei cittadini, mossi probabilmente più dalla curiosità che dal cordoglio. Le esequie si svolsero il 15 dicembre. Dopo il rito funebre la salma del granduca venne tumulata accanto a quella di Giovanna. Ben altra sorte fu riservata a Bianca: anche la granduchessa fu trasportata nel capoluogo toscano, ma per lei non ci furono né un corteo parato a lutto né cerimonie di alcuna sorta. La tradizione sostiene che il prelato aveva deciso di non concedere il benché minimo riconoscimento alla cognata, e le fonti hanno riferito che a quanti gli chiedevano con insistenza dove la donna dovesse essere inumata egli rispose seccamente: “Dove volete, ma non la vogliamo fra noi”. Questa lapidaria frase ha dato vita a numerosi fraintendimenti ed equivoci giunti fino ai nostri giorni. Sulla base delle parole pronunciate da Ferdinando molti hanno creduto che Bianca non avesse ricevuto una sepoltura degna della sua posizione, e per secoli hanno cercato di individuarne la tomba nei luoghi più disparati, dai sotterranei di San Lorenzo alla cripta di Santa Maria a Bonistallo fino ai più anonimi carnai. Nonostante gli innumerevoli tentativi effettuati finora, i resti della Cappello non sono ancora tornati alla luce, ma si può ritenere con ragionevolezza che essi riposino da qualche parte all’interno del complesso laurenziano, come sembrano indicare oltre che il buonsenso diversi documenti redatti in passato.
Le riesumazioni degli scienziati
Circa il decesso dei due coniugi, l’opinione popolare è sempre stata propensa all’ipotesi dell’avvelenamento, forse perché una morte a tinte fosche sembrava la conclusione più logica per una vicenda tanto torbida e travagliata, e probabilmente anche perché la gente nel corso dei secoli ha ritenuto che la fine così sofferta di Francesco e Bianca fosse la giusta punizione per il dolore che i due avevano arrecato a Giovanna. In questa ottica quindi anche la presunta incuria riservata dal cardinale alle spoglie della Cappello è stata verosimilmente intesa come un trattamento tutto sommato equo nei confronti della condotta disinvolta e spregiudicata della donna, e di conseguenza anche nei riguardi del comportamento di Ferdinando è stato presumibilmente adottato un atteggiamento di velata acquiescenza se non di aperta approvazione per la vendetta che egli avrebbe messo in atto ai danni del fratello e della cognata che aveva tanto osteggiato. Una prova inconfutabile dell’una o dell’altra causa di decesso però non è mai stata trovata con certezza, pertanto in assenza di elementi scientifici precisi le ipotesi avanzate sono per lunghissimo tempo rimaste nel campo delle illazioni. Nel novembre del 2004 i resti di Francesco e Giovanna sono stati riesumati insieme a parecchi altri dalle tombe presenti nelle Cappelle Medicee adiacenti alla basilica di San Lorenzo, per essere studiati con moderne tecniche di indagine paleopatologica nell’ambito del “Progetto Medici”, all’interno di un vasto e complesso piano di lavoro nato grazie alla collaborazione tra le facoltà di Medicina delle Università di Firenze e di Pisa, rappresentate rispettivamente dalla professoressa Donatella Lippi e dal professor Gino Fornaciari.
I resti dei granduchi
A suscitare il maggiore interesse era chiaramente lo scheletro del granduca, perché gli scienziati coltivavano la speranza di poter reperire qualche traccia o quantomeno qualche indizio che fosse in grado di guidarli sulla strada della risoluzione del mistero che aveva avvolto la sua morte, tuttavia non si poteva non tenere conto dello scempio che sui due cadaveri aveva compiuto nell’immediato dopoguerra il medico Gaetano Pieraccini, sindaco di Firenze dal 1944 al 1946, quando aveva dissepolto e gravemente compromesso numerose salme della casata medicea. Da una precedente esumazione del 1857 infatti i corpi sia di Francesco che di Giovanna risultavano in ottimo stato di conservazione a causa dell’imbalsamazione operata al momento del decesso, come testimoniano oltre ai verbali alcuni disegni realizzati dai pittori Antonio Moricci ed Enrico Pollastrini, che ritrassero con precisione fotografica le condizioni di entrambi i cadaveri. Pieraccini però, ossessionato dall’idea di creare una cranioteca comprendente i teschi dei più rilevanti esponenti della dinastia, fece ripulire le teste e poi anche i corpi delle salme riportate alla luce della cute e dei suoi annessi (capelli, peli ed unghie), dei tessuti muscolari, delle cartilagini e dei tendini per lasciare soltanto i meri scheletri, eliminando per sempre parti anatomiche importantissime. Nonostante ciò durante lo scrupoloso intervento di recupero dei resti ossei i medici hanno annunciato di essere riusciti a rinvenire alcuni frammenti epiteliali e piliferi rimasti straordinariamente attaccati alla mascella di Francesco, sui quali nonostante l’esiguità dei reperti si potevano tentare delle analisi di tipo tossicologico.
Il ritrovamento di Bonistallo
La svolta inaspettata e clamorosa è però giunta nel maggio del 2005 grazie al ritrovamento del tutto fortuito di due orci contenenti materiale organico nella chiesa di Santa Maria a Bonistallo, durante i lavori di ristrutturazione dell’edificio ecclesiastico. I due vasi di coccio recavano altrettante croci di foggia antica e la loro presenza nella cripta della costruzione era perfettamente compatibile con la testimonianza scritta da monsignor Bernardo Baldovinetti nel “Libro de’ matrimoni e mortori” relativo alla parrocchia di Santa Maria, che era allora l’unica chiesa di Poggio a Caiano: “Addì XIX Ottobre 1587: tra le 4 e le 5 hora di notte morì il Serenissimo Francesco Gran Duca di Toscana et addì 20 di detto mese e anno morì la Serenissima Gran Duchessa Bianca sua moglie et le loro intestine furono portate a Santa Maria a Buonistallo in quattro mezzine”. Un altro prezioso documento in proposito era stato fornito nel 1898 dal ricercatore Guglielmo Enrico Saltini, che in “Bianca Cappello e Francesco I De’ Medici” scriveva: “…diceva a noi stessi, molti anni or sono, il priore di Buonistallo, come in certa occasione dovendosi rimuovere i lastroni di quella sepoltura, erano stati trovati là dentro que’ vasi di terracotta, in parte infranti, ripieni di fetente poltiglia”. Il sospetto che i residui contenuti nei recipienti, nel frattempo passati da quattro a due, fossero della coppia graducale è stato confermato dalla comparazione tra il Dna ricavato da questi ultimi e quello estratto dai frammenti della cute e dai peli della barba di Francesco. Poiché è stato appurato che quei resti appartenevano ad un individuo di sesso maschile e ad uno di sesso femminile, è apparso evidente che quelle non potevano essere che le interiora dei due sposi. Il materiale esaminato (con ogni probabilità porzioni di fegato) ha rivelato la presenza indubbia di arsenico in dosi altamente tossiche.
La soluzione del mistero
Questa scoperta sembrava dunque indicare nel cardinal Ferdinando il responsabile della morte dei granduchi, tuttavia era necessario considerare che l’arsenico veniva solitamente impiegato nei processi di imbalsamazione per favorire la buona conservazione delle salme, inoltre non si doveva trascurare il fatto che, almeno per quanto concerne i reperti relativi a Francesco, quest’ultimo aveva praticato a lungo esperimenti chimici che lo avevano esposto per gran parte della vita ad elementi potenzialmente tossici. A questi fattori destabilizzanti si aggiungeva infine l’incognita rappresentata dal cosiddetto inquinamento ambientale, dal momento che le spoglie del granduca avevano subito numerosi passaggi non privi di rischi di contaminazione, poiché gli organi interni erano stati recuperati dai muratori che li avevano scoperti, mentre il corpo era stato oggetto di svariate ricognizioni, e a ciò si sommava il dubbio che i peli rinvenuti nella cassa dove riposava lo scheletro di Francesco potessero provenire o da alcune delle persone che nei secoli si erano occupate delle varie riesumazioni o addirittura dalla stoffa nella quale erano stati avvolti i resti ossei. Per fugare le tante incertezze nel 2009 sono state perciò eseguite ulteriori perizie a cura delle Università di Torino e di Pisa dalle quali è emerso che nei tessuti spugnosi dello scheletro di Francesco erano presenti tracce inequivocabili del Plasmodium falciparum, l’agente patogeno della malaria, contratta quasi sicuramente lungo le risaie presenti nella tenuta circostante la villa del Poggio.
La sentenza di assoluzione
Questa seconda indagine scagiona dunque Ferdinando dall’accusa infamante di omicidio volontario e premeditato e inficia tante delle dicerie malevole che sono circolate in maniera incontrollata per più di quattro secoli. A fugare ogni eventuale altro sospetto sulla figura del prelato, che dopo il decesso del fratello abbandonò effettivamente l’abito cardinalizio per ereditare il governo del granducato e successivamente si sposò e generò ben nove figli per assicurare la discendenza della dinastia medicea, è stato accertato che da ragazzo egli aveva contratto la malaria insieme ai fratelli Giovanni e Garçia durante un viaggio in Maremma effettuato nel 1562, ma a differenza di questi ultimi egli era sopravvissuto alla malattia e ne era diventato immune. A meno che in futuro non si riesca finalmente a scoprire la sepoltura di Bianca Cappello e che dall’esame della sua salma non giungano sorprese inaspettate, a questo punto il caso può considerarsi chiuso e il mistero risolto. (Barbara Prosperi)