La festa di San Michele ha origini lontane. Nasce nel 1932 per volere del regime fascista, pensata come un momento di aggregazione dal quale ottenere maggiore consenso popolare. Il territorio di Carmignano viene suddiviso in quattro contrade, che corrispondono ai rioni che conosciamo anche oggi: il rione bianco (rione della Torre), il rione celeste (rione dell’Arcangelo), il rione giallo (rione del Leone), il rione verde (rione dell’Arte).
La festa è stata interrotta negli anni della guerra perché qualsiasi legame con il fascismo doveva essere dimenticato ed è stata ripresa a fatica, a partire dal 1957. Da allora ci sono state poche altre interruzioni, con un primo importante cambiamento nel 1969: la festa passa da uno a tre giorni, uno dei quali il 29 settembre, il santo patrono di Carmignano. Durante le tre giornate i rioni gareggiano per la migliore sfilata folkloristica di carri allegorici, basata su un tema legato al territorio carmignanese, e per il tradizionale palio dei ciuchi, che viene corso per tre volte.
Nel 2011 arriva un’altra rivoluzione, che ha segnato un cambiamento culturale epocale. La sfilata folkloristica, abbinata al tradizionale palio dei ciuchi viene riconosciuta come teatro in strada. Lo spettacolo che viene portato in piazza dai quattro rioni, e che quest’anno andrà in scena il 29 e 30 settembre ed il 1 ottobre, rappresenta però soltanto una piccola scintilla. Dietro i trenta minuti delle storie raccontate dai rioni si nasconde molto altro. Ogni rappresentazione viene infatti costruita nell’arco di un intero anno, pensata e coccolata gelosamente nei mesi che intercorrono tra un’edizione della festa e quella successiva, finché finalmente quella storia può essere rivelata e raccontata attraverso le voci e i corpi dei figuranti, che diventano attori per tre giorni.
Per i carmignanesi l’estate finisce sempre dopo San Michele. Nel mese di settembre la vita scorre al cantiere del quartiere generale o nelle stanze della sartoria, dove i rionali trascorrono le serate tra risate, la tensione ed una pastasciutta fatta all’istante a mezzanotte. Essere rionale significa fare parte di un gruppo, portare il rione come un tatuaggio sulla pelle e sentire l’attaccamento alla bandiera, forse un po’ campanilistico, ma molto simile per certi aspetti alla fede calcistica. C’è chi è nato e cresciuto dentro il rione, chi vive lontano da casa e prova nostalgia per quella famiglia che non ha scelto ma che rappresenta un legame profondo con la terra, chi al rione ci è arrivato per caso eppure lo ama con uguale intensità.
Dentro il rione si imparano molte cose e alcuni lo considerano una buona scuola di vita. Si impara che è possibile divertirsi con niente, semplicemente stando tutti insieme in una sartoria soffocante, intorno ad un tavolo coperto dai tessuti. Si impara a riconoscere il rumore degli attrezzi, della sparapunti, a cucire in ginocchio e a non urlare quando la colla a caldo si attacca per sbaglio alle dita.
Chi ha vissuto il San Michele almeno una volta nella vita, chi lo vive ogni anno all’interno del gruppo regia, fatica a dimenticarsi della propria esperienza. Per questo motivo abbiamo voluto raccontare la festa dall’interno attraverso le voci di quattro rionali. Il loro racconto è un grande “amarcord”, fatto di tanti fotogrammi ed emozioni che vivono sospese tra il cantiere e via Roma, la strada dove le sfilate iniziano, e che esplodono definitivamente negli istanti che precedono l’inizio di questa festa di teatro. (Valentina Cirri)
Leggi le interviste ai rionali:
“Varco il cancello del rione e mi sento a casa” – Simone Spinelli racconta il rione bianco
“Sento di avere il rione nel sangue” – Fabrizio Buricchi racconta il rione celeste
Quando l’ironia sa commuovere … – Irene Fratoni racconta il rione giallo
“Né legno né stoffa, ma pura emozione” – Melania Crescioli racconta il rione verde
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