Che Cosimo III de’ Medici, penultimo granduca di Toscana, promulgatore del celebre “Bando Mediceo” che stabiliva i confini e il disciplinare tra gli altri del vino di Carmignano e che ha da poco compiuto i tre secoli di vita , fosse incline ai piaceri della tavola è risaputo, ma forse non è altrettanto noto il fatto che fosse un grande estimatore della cioccolata, che faceva declinare secondo tante preparazioni diverse dal letterato, scienziato e medico di corte Francesco Red, lo stesso che nel famoso “Bacco in Toscana” esaltò insieme a molti altri i vini di Carmignano ed Artimino. Di questo e di tante altre curiosità si parlerà sabato 1° dicembre alle ore 16 nella Sala Consiliare del Comune di Carmignano, dove avrà luogo la conferenza “La cioccolata del Granduca”, curata dal Gruppo “ATTIVAmente”, a cui seguirà una degustazione di cioccolata calda organizzata dall’Associazione Turistica Pro Loco di Carmignano e guidata dal Panificio Cafissi di Seano, forno rinomato per gli ottimi prodotti di pasticceria.
Anche se è tuttora in corso una diatriba su chi sia stato il primo a portare il cacao dall’America in Europa (mentre gli spagnoli da una parte rivendicano il primato tutto per loro, l’Italia dall’altra propugna il nome di Cristoforo Colombo), è certo che fu il fiorentino Francesco Carletti ad introdurre il pregiato alimento Toscana, dove ovviamente giunse rapidamente sulle mense dei Medici. Carletti, figlio di un mercante di nome Antonio, fu a sua volta mercante, ma anche viaggiatore, esploratore e scrittore, una moderna figura di avventuriero che dopo aver toccato l’Africa, l’America Latina, le Filippine, il Giappone, la Cina e l’India ed aver accumulato ingenti ricchezze perse le mercanzie accumulate nel corso dei suoi viaggi dopo aver subito l’attacco di un manipolo di corsari olandesi, e una volta tornato in patria venne accolto alla corte di Ferdinando I de’ Medici, il committente della villa di Artimino, a cui dedicò le sue memorie di viaggio. Fu dunque lui che fece conoscere il cacao nella nostra regione e alla dinastia medicea, anche se occorre precisare che in un primo momento il frutto profumato non incontrò i gusti dei privilegiati che ebbero l’opportunità di assaggiarlo e che lo ritennero poco gradevole al palato in quanto amaro e dal gusto particolarmente pronunciato.
Fu con il passare del tempo che l’alimento, che inizialmente veniva preparato esclusivamente sotto forma di bevanda, amalgamato con l’acqua o con il latte (e perciò detto cioccolatte, da cui l’odierna cioccolata) e addolcito con lo zucchero, prese piede e incontrò la fortuna che ancora oggi lo accompagna, soprattutto grazie all’utilizzo di alcuni aromi che ben si armonizzavano con il cacao. In particolare le cronache tramandano che Cosimo III, perennemente pungolato dalla sua ghiottoneria, avanzasse continue richieste di tal genere a Francesco Redi, e che quest’ultimo si assoggettasse pazientemente ai desideri del suo signore inventando sempre nuove combinazioni, tra le quali è rimasta famosa la varietà aromatizzata ai fiori di gelsomino, per la quale Cosimo nutriva una vera e propria passione. Altri ingredienti che venivano correntemente adoperati per ingentilire il sapore deciso del cacao erano le scorze di agrumi (prevalentemente il cedro e il limone), la cannella, la vaniglia, l’ambra e perfino il muschio.
Del cacao Carletti fornì un resoconto interessantissimo nei suoi “Ragionamenti”, scritti all’inizio del Seicento ma pubblicati soltanto nel 1701, dove appunto si legge: “Il Cacao è un frutto celebre e di vitale importanza per quel Regno – il riferimento presumibilmente è in termini generici a quelle che all’epoca venivano indicate come le Indie Occidentali –, tanto che si dice se ne consumi ogni anno più di cinquecentomila scudi. Questo frutto serve anche come moneta da spendere, per comprare al mercato le cose di uso comune. Ma il suo consumo principale è in una certa bevanda che gli Indiani chiamano “Cioccolatte”. Questa bevanda si fa mescolando i frutti del Cacao, che sono grossi come ghiande, con acqua calda e zucchero. Prima i frutti vanno seccati molto bene e abbrustoliti al fuoco, poi disfatti su delle pietre fregando un pestello, anch’esso in pietra, lungo la pietra piana e liscia. Così si viene a formare una pasta che disfatta nell’acqua serve da bevanda, ed è bevuta comunemente da tutti i nativi del Paese e dagli Spagnoli e da tutti gli abitanti delle altre nazioni che qui giungono. Una volta che si avvezzano, tutti ne diventano così viziosi che con difficoltà poi possono rinunciare a berne ogni mattina, o il giorno dopo desinare, quando fa caldo, in particolare quando si naviga. Ho provato il Cioccolatte mentre ero in Messico, e mi piaceva e giovava assai. E quasi non mi pareva di poter stare un giorno senza”. (Barbara Prosperi)