Quando si nomina Leonardo se ne associa immediatamente l’immagine al cosiddetto “Autoritratto” custodito alla Biblioteca Reale di Torino, uno dei disegni più celebri di tutto il suo corpus grafico ma anche della storia dell’arte, conosciuto al pari dell’“Uomo Vitruviano”, dell’“Ultima Cena” e della “Monna Lisa”, tuttavia non esiste la certezza assoluta che quel ritratto raffiguri realmente l’artista in età avanzata, così come permangono molti dubbi sulle diverse opere che nel corso del tempo hanno tramandato ai posteri l’effigie del genio di Vinci.
Secondo la tradizione una delle prime immagini di Leonardo, all’epoca non ancora ventenne, può essere rintracciata nel famoso “David” realizzato da Andrea del Verrocchio intorno al 1470; si dice infatti che il maestro, che in quel periodo aveva tra i propri allievi anche il futuro autore della “Gioconda”, ammirato dalla sua avvenenza avesse deciso di assegnarne le fattezze all’eroe biblico, rappresentato come un bel giovane dai capelli lunghi e ricci e dal sorriso enigmatico, dall’aria sognante e dall’aspetto vagamente efebico.
Caratteristiche molto simili, insieme al volto dai tratti aristocratici e dal naso allungato si ritrovano nella figura del San Michele Arcangelo presente nel “Tobiolo e i tre arcangeli” di Francesco Botticini, discepolo del Verrocchio più o meno nello stesso periodo di Leonardo, che sempre intorno al 1470 eseguì il dipinto conservato alla Galleria degli Uffizi, per il quale si ipotizza che il pittore di Vinci sia stato ancora una volta utilizzato come modello.
Un altro ritratto di Leonardo, realizzato dall’artista stesso una decina di anni più tardi, sembra essere quello dell’uomo in piedi all’estrema destra dell’“Adorazione dei Magi” degli Uffizi, che tenendosi avvolto in un ampio mantello guarda verso l’esterno della tavola, in maniera analoga a quanto aveva fatto Sandro Botticelli nell’“Adorazione dei Magi” del 1475; benché lo stadio di abbozzo della pittura non aiuti a metterne a fuoco i dettagli, pare di intravedere ancora una volta il giovane dai capelli ricci e dal lungo naso – in questo caso discretamente arcuato – già visto nella statua del Verrocchio e nel quadro del Botticini, anche se con connotati più marcati e virili dovuti sicuramente al progredire dell’età.
Alcuni studiosi hanno proposto di ravvisare altri autoritratti del pittore anche nel “Ritratto di musico” della Pinacoteca Ambrosiana di Milano (1485 ca.), nel celebre “Uomo Vitruviano” delle Gallerie dell’Accademia di Venezia (1490 ca.) e nello studio del San Giacomo Maggiore per il “Cenacolo” di Santa Maria delle Grazie custodito alla Biblioteca Reale di Windsor (1495 ca.), tutti risalenti al soggiorno milanese presso la corte di Ludovico il Moro, tuttavia anche in questi casi non esistono certezze in proposito.
Anche dei numerosi ritratti che ne raffigurano le fattezze va sottolineato che sono stati eseguiti in epoche successive da artisti che non avevano conosciuto direttamente il pittore toscano. Tra i tanti anche il dipinto conservato agli Uffizi, che è stato a lungo esposto con la dicitura di “Autoritratto di Leonardo da Vinci” nel Corridoio Vasariano e che sembra essere invece un’opera tedesca del Seicento. A dispetto della sua non autenticità, l’effigie proposta da questo quadro – il maestro colto in età matura, con il volto incorniciato da capelli e barba lunghi e folti e il berretto calcato sulla testa – ha finito per imporsi come l’immagine per eccellenza di Leonardo, tanto da essere ripresa per esempio nel corso dell’Ottocento dagli scultori Luigi Pampaloni e Pietro Magni, che firmarono rispettivamente le statue per il loggiato degli Uffizi a Firenze e per il monumento di piazza della Scala a Milano, anche se a onor del vero già nel 1568 Giorgio Vasari aveva pubblicato nelle sue “Vite” un ritratto dell’artista – realizzato al pari di tutti gli altri su suo disegno dall’incisore Cristofano Coriolano – con simili caratteristiche, presenti anche nell’affresco eseguito personalmente nel salone della propria abitazione fiorentina (1561 ca.).
Quello che sembra di poter asserire con sicurezza è che con il passare degli anni Leonardo dovette farsi allungare tanto i capelli quanto la barba, e questo – complice anche la sua fama di pensatore e scienziato – portò non soltanto i posteri ma anche i suoi stessi contemporanei ad assimilarne l’aspetto con quello di un filosofo antico, e a riprova di ciò è emblematico il fatto che tra il 1509 e il 1511 nel famosissimo affresco vaticano della “Scuola di Atene” Raffaello immortalò il più anziano maestro nel personaggio di Platone, posto al centro della scena al fianco di Aristotele (Aristotele da Sangallo) e contraddistinto appunto da capelli e barba fluenti, con una marcata calvizie dovuta al trascorrere del tempo. Al ritratto realizzato dal Sanzio può essere accostato quello eseguito presumibilmente da Francesco Melzi, allievo prediletto nonché esecutore testamentario ed erede di Leonardo, che nei primi anni del Cinquecento raffigurò l’artista di profilo in un bel disegno a sanguigna conservato a Windsor.
Un presunto autoritratto di mano di Leonardo, datato tradizionalmente al 1513, si trova ancora presso la Biblioteca Reale di Windsor, in un disegno che ritrae in maniera abbastanza sommaria un anziano seduto, colto nuovamente di profilo, con una lunga barba, una calvizie pronunciata e la schiena ingobbita, a indicare lo scorrere impietoso del tempo che tutto trasforma e consuma. E’ con ogni probabilità il ritratto cronologicamente più vicino a quello di Torino, normalmente assegnato al 1512-1515, e in entrambi è possibile osservare la figura di un uomo fermata in una fase di decadenza fisica, con le guance e la fronte fortemente segnate dalle rughe, precocemente invecchiato, come ci conferma la testimonianza di Antonio de Beatis, segretario del cardinale Luigi d’Aragona, che avendogli fatto visita nel 1517 alla corte di Francesco I di Francia, quando il pittore aveva sessantacinque anni, lo descrisse come “vecchio de più de settant’anni”.
Tuttavia, anche prendendo per buono il fatto che Leonardo dimostrasse più degli anni che aveva, l’età palesata dal disegno di Torino appare davvero eccessiva per un uomo appena sessantenne, ed è per questo motivo che diversi studiosi hanno ipotizzato che possa trattarsi del ritratto di un’altra persona, forse di una figura particolarmente vicina all’artista, come un familiare stretto, ad esempio il padre, ser Piero, oppure lo zio, Francesco. Del resto la scritta che vi compare sopra – “Leonardus Vincius, ritratto di se stesso assai vecchio” – non è sicuramente autografa ed è stata aggiunta da una mano sconosciuta in epoca posteriore, da qualcuno che quasi certamente non sapeva chi fosse quell’uomo. Così come molti altri elementi della persona e della vita del genio di Vinci, anche il reale aspetto del suo volto è destinato a rimanere avvolto nel mistero, e i suoi tratti a restare sfumati e indefiniti.
Di alcune caratteristiche del suo fisico e della sua personalità però ci forniscono qualche notizia alcuni testimoni del suo tempo, a lui contemporanei o di poco successivi, che parlano in maniera inequivocabile della bellezza, del fascino, dell’estrosità che contraddistinguevano il pittore vinciano, ricordato anche per la prestanza fisica e per la forza straordinaria, oltre che per le qualità di artista, filosofo e scienziato. “Grandissimi doni si veggono piovere dagli influssi celesti ne’ corpi umani molte volte naturalmente – racconta Giorgio Vasari a proposito di Leonardo –; e sopra naturali, talvolta, strabocchevolmente accozzarsi in un corpo solo bellezza, grazia e virtù”; “Fu tanto raro et universale – narra l’Anonimo Gaddiano –, che dalla natura per suo miracolo essere prodotto dire si puote, la quale non solo delle bellezze del corpo, che molto bene gli concedette, volse dotarlo, ma di molte rare virtù volse ancora farlo maestro”, ed aggiunge che “era di bella persona, proportionata, gratiata et bello aspetto” e che “portava un pitocco rosato corto sino al ginocchio, che allora s’usavano i vestiri lunghi. Haveva fino a mezzo il petto una bella capellaia et inanellata et ben composta”.
“Fuit in ingenio valde comi, nitido, liberali – specifica Paolo Giovio –, vultu autem venustissimo et cum elegantiae omnis delitiarumque maxime theatralium mirificus inventor ac arbiter esset, ad lyram scite caneret, cunctis per omnem aetatem principibus mire placuit”, elogiandone cioè la mente brillante, la generosità ed il fascino, pari soltanto alla sua avvenenza, e precisando che la sua genialità di inventore era sorprendente, che per tutto quello che concerneva bellezza, eleganza e spettacoli era un arbitro di indiscussa competenza, e che cantava in maniera mirabile accompagnandosi con la lira e suscitando l’ammirazione delle corti in cui si esibiva. “Egli con lo splendor dell’aria sua, che bellissima era – ricorda ancora il Vasari –, rasserenava ogni animo mesto”, “con le parole volgeva al sì et al no ogni indurata intenzione”, e “con le forze sue riteneva ogni violenta furia; e con la destra torceva un ferro d’una campanella di muraglia et un ferro di cavallo, come se fusse piombo”. (Barbara Prosperi)
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