Bacchereto, il piccolo borgo del Montalbano carmignanese conosciuto per le sue sagre, noto anche per essere stato un rinomato centro di produzione di ceramiche e il luogo di origine della nonna di Leonardo da Vinci, ha inoltre dato i natali ad un poeta attivo a Firenze nel corso del Quattrocento. La scoperta, o quantomeno la divulgazione al di fuori degli ambienti accademici, si deve a Marco Conti, appassionato ricercatore di storia fiorentina, autore del libro “Antonio da Bacchereto, poeta del XV secolo”, che si è imbattuto per caso nelle liriche e nella figura dello scrittore toscano e, spinto dalla curiosità, ha deciso di effettuare delle indagini a riguardo. Una volta terminate, queste sono poi confluite in un volume di recente pubblicazione, che lo scorso 18 maggio è stato presentato proprio a Bacchereto durante l’ultima edizione di “Buongiorno Ceramica!”.
Antonio nacque a Bacchereto intorno al 1425 da Giovanni, morto pochi anni dopo la nascita del figlio, presumibilmente intorno al 1430, e da Veronica, che proveniva dal popolo di San Giusto al Montalbano (vedi “Storia millenaria di un’abbazia” di Barbara Prosperi). Il fanciullo, rimasto orfano del padre in tenera età, si trasferì con la madre a Firenze, nel quartiere di San Frediano, dove iniziò ben presto ad esercitare l’attività di calzaiolo. Dai documenti risulta infatti che nel 1441 commerciava nel settore delle calze (che all’epoca oltre all’indumento di stoffa molto spesso includevano le suole), ed è pertanto possibile dedurre in maniera ragionevole che avesse una sua bottega.
Nel 1448 era affiliato alla Compagnia di Sant’Agata, operante presso la chiesa di Santa Maria del Carmine, e negli anni a seguire arrivò a ricoprire diversi incarichi di prestigio al suo interno, divenendone prima camerlengo, nel 1452, poi massaio, nel 1467,e infine maestro e sindaco, nel 1468, continuando a praticare sempre il mestiere di calzolaio, a cui nel tempo si era aggiunto quello di barbiere. Nel 1487 raggiunse il punto più alto della sua posizione sociale, poiché nella Confraternita di Sant’Agata assolveva il compito di intrattenere i rapporti con le maggiori personalità cittadine. Si spense nel 1490. Dagli archivi non sono emerse tracce di matrimoni né figli.
Non è difficile immaginare che da ragazzo si trovasse costretto ad intraprendere precocemente l’attività lavorativa per sopperire alle difficoltà economiche della famiglia, tuttavia l’esercizio della professione non gli impedì di crearsi un bagaglio culturale di tutto rispetto. Sappiamo infatti che non solo era in grado di leggere e di scrivere, ma che disponeva anche di una discreta conoscenza della tradizione letteraria specialmente fiorentina, e che componeva poesie di notevole qualità, ricche di citazioni colte.
Antonio “cantava in panca”, apparteneva cioè a quella categoria di poeti che, non potendo contare sull’appoggio di grandi mecenati, si radunavano nella piazzetta di San Martino a Firenze, che era appunto munita di panche, e lì improvvisavano e declamavano le loro opere. Non era però infrequente che a questa sorta di palestra di strada prendessero parte anche i poeti più affermati, che pur mantenendo le distanze si accostavano ai colleghi meno famosi, in cerca di ispirazione negli strati più popolari del tessuto sociale.
Il corpus degli scritti di Antonio, che utilizzò sempre il patronimico “di Giovanni” o il toponimo “da Bacchereto”, è conservato alla Biblioteca Riccardiana di Firenze, dove sono datati soltanto due poemetti, il “Tapinello”, del 1475, e “Il Padiglione di Mambrino”, del 1488, che è stato pubblicato nel volume curato da Marco Conti insieme al “Ternario”. L’edizione a cui ha fatto riferimento Conti è però contenuta in alcuni libretti nuziali stampati a Livorno nel 1874, attualmente custoditi alla Biblioteca Labronica della città portuale.
“Le liriche di Antonio si caratterizzano per una certa eleganza e gentilezza – ci dice Marco Conti – che lo accomunano ad un altro poeta baccheretano, Galeazzo Lenzi, di cui ero amico e con il quale era nato il progetto di questa pubblicazione. Dopo la sua scomparsa ho proseguito il lavoro da solo – continua Conti –, ma a quel punto ho ritenuto doveroso ricordarlo in questo libro attraverso una selezione dei suoi componimenti, la cui profondità e delicatezza a distanza di cinque secoli ne fanno l’erede spirituale di Antonio”. (Barbara Prosperi)