Il 29 settembre è festa a Carmignano, non solo perché è il santo patrono ma perché quest’anno inizia la tre giorni del San Michele. Si arriva in paese tramite un percorso pedonale e si assiste inizialmente alla sfilata del gonfalone col corteo storico. Poi la piazza centrale diventa un grande palcoscenico dove i quattro rioni (Bianco, Celeste, Giallo e Verde) si daranno battaglia anche nelle giornate successive, sabato 30 settembre e nel gran finale di domenica 1 ottobre, quando sarà decretato il vincitore giudicato per la rappresentazione migliore dai giurati, cinque e diversi per ogni gara. Alle nove e quaranticinque il brivido scende lungo la schiena, le luci si spengono ed il primo rione è pronto a scendere in campo.
Ad inaugurare l’edizione 2023 della festa è stato il rione Giallo con “Aldilà del bene e del male 2”, sequel di un precedente spettacolo andato in scena nel 2016 che valse la vittoria al rione del Leone, sempre per la regia di Matteo Cecchini. La storia riparte da dove ci eravamo lasciati: Lucifero fa ritorno a Carmignano, si impossessa del corpo di un vecchio per avere sembianze umane e fa visita alla sua amica suora al cimitero. Nel frattempo, si torna indietro nel tempo, all’eterna lotta tra bene e male ed allo scontro tra Lucifero, scelto a sorte per essere il signore del male e Michele, “tu sai chi”, il prediletto tra tutti gli arcangeli dell’Eden. Il testo è ironico, divertente ed accattivante, accompagnato da una colonna sonora contemporanea, che contempla brani come Personal Jesus dei Depeche Mode, Festival dei Sigur Ross, Mad World di Gary Jules, Seven Nation Army di The White Stripes, che contribuiscono a rendere il ritmo incalzante. Tornano anche i fantocci di cartapesta ad animare la scena, uniti a personaggi che indossano una maschera da morte secca, i servitori di Satana. Lo scenario è sacro e profano: Lucifero, personaggio debole e insicuro con cui si arriva ad empatizzare, si ritrova faccia a faccia col suo acerrimo nemico Michele, che già una volta lo sconfisse sul masso di Pietramarina, che da allora – secondo la leggenda – prende il nome di masso del diavolo. A questo giro la resa dei conti è però decisiva e si combina al giudizio universale. In questo atto finale gli esseri divini non ne escono né vincitori né vinti, ma anzi dimostrano di essere l’esatto specchio degli esseri umani che, forti del loro libero arbitrio, lo hanno usato per distruggere il mondo anziché per migliorarsi.
Il rione Celeste ha rappresentato per secondo “Inferno o Paradiso” diretto dalla rionale Carolina Fanelli, un racconto di guerra incentrato sulla figura di Bruno Cardini, carmignanese nato nel 1916 ed arruolato nel 1940 come aviatore del Corpo Aereo Italiano inviato in Belgio contro l’Inghilterra insieme a due amici, Andrea e Filippo. Seguiamo le vicende dei tre giovani soldati attraverso l’andamento di un lungo flashback, con un monito intenzionale di esordio: “Io credo che il finale sia la parte più vera di ogni storia. È lì, che le ragioni dei personaggi si rivelano”. Sullo sfondo della guerra e di tutto ciò che essa porta con sé, paura, morte e distruzione, conosciamo questi tre amici, che si salvarono con un atterraggio di fortuna in Inghilterra, non lontano da Londra, dove nonostante la barriera linguistica, si integrarono nella comunità portando speranza e spensieratezza senza comportarsi da invasori. Il testo, ben recitato in piazza, è accompagnato da effetti scenici notevoli, come i lampioni che si accendono grazie alle risate dei bambini, gli ombrelli che diventano fiori colorati e i pezzi dell’aereo trasformati in aquiloni. L’amicizia tra i tre soldati viene rinsaldata proprio grazie all’incidente ed alla conoscenza da vicino di quello che era considerato il nemico, tanto che matura in loro la volontà di agire secondo coscienza e non secondo gli ordini ricevuti. Al termine della vicenda, nonostante le prime resistenze del Cardini, i tre soldati – ora disertori – concordano nell’invertire la rotta e nell’infrangere la barriera di protezione creata per l’aviazione tedesca segnando la prima sconfitta della Germania. La morale di questa favola, non adatta per bambini, è che per volare bisogna sicuramente avere coraggio, e che gli aerei possono decollare anche con venti contrari.
Terzo a sfilare è stato il rione Verde con “Cogito et volo, ergo libero sum”, una rappresentazione in tre quadri diretti dai registi Silvia Mercantelli, Riccardo Giannini e Stefano Dendi. Leonardo da Vinci vecchio e il Leonardo bambino si incontrano sulla piazza, si riconoscono ed infine si perdonano. La storia del genio di Vinci viene mostrata da una prospettiva inedita, come prodotto delle figure significative che lo hanno cresciuto nell’infanzia. La prima è la madre Caterina di Meo Lippi, donna di modesta estrazione sociale che qui viene ricondotta al ruolo di schiava, estranea in terra straniera, il Montalbano nella verde Toscana, costretta ad abbandonare il figlio illegittimo come estremo atto di dono alla vita. La seconda figura è la nonna Lucia che abitava a Toia, nella piccola frazione di Bacchereto, donna dei fatti e capace di comandare gli uomini e di plasmare la terra col fuoco, rappresentata da un imponente carro di una bambola in ceramica che incute timore. La nonna che terrorizza il nipote si rivela la sua prima maestra di alchimia, colei che gli insegna a plasmare le emozioni nello stesso modo in cui si plasma la terra. L’ultimo è lo zio Francesco, uomo di ingegno, che prepara il piccolo Leonardo ad osservare il mondo, vedere le forme, le linee e i colori e dare loro un senso. Da questa formazione ricevuta nell’infanzia nasce in Leonardo la volontà di sperimentare il volo, tentare, staccare i piedi, innalzarsi. La vita alla fine può essere riassunta proprio così, nell’unione dell’io nel volo vorticoso dell’esistenza: “Noi siamo tutto e il suo contrario, siamo colui che ci formò, Francesco, colei che ci forgiò, Lucia, siamo chi ci amò sopra a ogni cosa, mamma Caterina. Siamo quanto detto, fatto, prodotto, scartato, creato, pensato, sentito. Ma soprattutto SIAMO Etereo vento in un volo vorticoso”.
Quarto ed ultimo in gara è stato il rione Bianco che ha portato in scena “Tra i sospiri degli alberi” per la regia di Lorenzo Tarocchi, un testo che ha l’ambizione di combinare la cronaca giornalistica alla drammaturgia teatrale utilizzando l’espediente del teatro nel teatro, uno spettacolo che chiama direttamente in causa il pubblico e lo invita a riflettere e a non dimenticare le storie di violenza che vengono raccontate. I due protagonisti di fantasia, Rolando e Guido, sono due attori ed aspiranti sceneggiatori che sognano in grande, scrivere un’opera memorabile con cui lasciare una traccia nel mondo, prendendo spunto dalla lettura dei libri di Lorenzo Petracchi, scrittore e cronista carmignanese, educato al collegio dei Salesiani, viaggiatore e soprattutto amante della notizia e della verità. Qui inizia una lunga dimensione onirica in cui i due attori-sceneggiatori incontrano Lorenzo Petracchi, trasfigurato da capocomico, che inscena a Carmignano una tragedia in tre atti, dove si susseguono eventi drammatici del passato e del presente che si intrecciano, in un terribile eterno ritorno dell’uguale. Le storie di violenza di genere, esito di una forte cultura patriarcale, formano una trama ed avvinghiano i personaggi come in una gabbia, rappresentata proprio da un carro allegorico, dove una figura femminile ed una maschile si rincorrono senza tregua. Nel primo atto si ricordano i crimini compiuti ai tempi dei Medici, quando le donne – soprattutto quelle che uscivano dagli schemi, come Bianca Cappello – erano discriminate dalla legge salica che non prevedeva la discendenza femminile. Nel secondo atto si menzionano nomi di donna vittime di violenza, fino ad arrivare al terzo atto in cui viene rievocato con crudezza un atto recente di violenza femminile. Eccoci arrivati quindi all’epilogo, dove le donne sottomesse in tutte le epoche, si ribellano come moderne Antigone che non sottostanno alla legge paterna o del maschio forte e si liberano dall’abbraccio mortifero dei propri aggressori-padroni, facendo sentire alta la propria voce e diventando quindi, in un futuro ideale, donne libere ed artefici del proprio destino. Nel finale si dice infatti: “Abbiate paura donne, sì, ma non degli uomini. Abbiate paura di accontentarvi, di non poter dire la vostra. Abbiate il terrore di vivere un’esistenza che non v’appartiene. E’ solo una, la vita è solo una! Sognate in grande e costruite in gigantografia. E aprite il cuore, se necessario. Perché la sensibilità non è un difetto e la sensibilità non è per tutti!”.
Al termine delle rappresentazioni è stata disputata anche la corsa del tradizionale Palio dei Ciuchi che si è conclusa senza penalità o cadute. Ad aggiudicarsi la prima delle tre gare è stato il fantino Thomas Bresciani del rione Celeste, seguito da Simone Giannettoni del rione Verde. Penultimo Lorenzo Cappellini del rione Giallo ed ultimo classificato Francesco Risaliti del rione Bianco. (Valentina Cirri)
CHI HA VINTO
E’ finita con la doppia vittoria del celeste, primo nel ‘teatro in strada’ e primo anche nel palio dei ciuchi. La contrada dell’Arcangelo ha raccolto dai quindici giudici, per la propria rappresentazione, 52 punti. Il giallo si è fermato a 49 (diventati poi 45, con una penalizzazione, perché la prima sera ha sostato per più di cinque minuti in piazza con strutture più alte delle transenne e il regolamento non lo permette). Il bianco si è fermato a 35 punti in tre giornate e il verde a 29.
Nel palio dei ciuchi è stata decisiva la corsa di domenica. Dopo la gara di sabato il celeste aveva 8 punti, 6 il verde e 3, pari merito, bianco e giallo. Nell’ultima gara ha avuto la meglio il verde, ma con il secondo posto i celesti si sono comunque aggiudicati il palio. E’ finita infatti con 11 punti per l’Arcangelo, 10 per i verdi, 5 per bianchi e 4 per i gialli.