Il girarrosto di Leonardo
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Il girarrosto di Leonardo forse nella villa
Tra le tante invenzioni di Leonardo, ce n’è una che interessa la villa medicea di Artimino, la magnifica residenza di campagna voluta dal granduca Ferdinando I de’ Medici nella bandita di caccia del Barco Reale. Anche se quando venne realizzato l’edificio il genio di Vinci era già morto da circa ottant’anni (l’artista si spense infatti in Francia, nei pressi di Amboise, alla corte di re Francesco I, nel 1519, mentre i lavori di costruzione de La Ferdinanda durarono dal 1596 al 1600), al suo interno è custodito un girarrosto che una lunga tradizione attribuisce proprio a Leonardo.
Nei suoi manoscritti si trovano infatti diversi progetti di questo genere: due sono presenti nel Codice Atlantico, e riguardano due differenti modelli di girarrosti, uno azionato dall’aria calda sprigionata dal fuoco, l’altro da un contrappeso, ed è appunto a quest’ultima versione che si riferisce l’esemplare di Artimino, collocato in bella vista nella cucina al piano terra della villa, sulla destra di un grande camino sagomato in pietra serena. Progettato per ospitare fino a quattro spiedi, è caratterizzato da un ingegnoso meccanismo che prevede la possibilità di adattare la carica del girarrosto ai diversi tempi di cottura delle carni, dalle più piccole e tenere alle più grandi e compatte.
Al di là della leggenda che vuole Leonardo impegnato insieme al Botticelli nella gestione di una taverna a Firenze, preludio alla sua attività di maestro di feste e banchetti alla corte milanese di Ludovico il Moro, come sostengono quanti rivendicano l’esistenza di un fantomatico Codice Romanoff conservato e poi sparito dall’Ermitage di San Pietroburgo (che però ha sempre negato di averlo posseduto), è certo che l’artista dimostrò sempre uno spiccato interesse nei confronti della meccanica, e che studi che concernono marchingegni di questo tipo sono stati rinvenuti anche nel Codice Leicester, recentemente esposto a Firenze per il cinquecentenario della morte di Leonardo.
Non deve comunque stupire che la genialità del pittore toscano si applicasse a questioni pratiche come ad esempio quella che in questo caso specifico riguardava la cucina, perché il suo multiforme ingegno e la sua inesauribile curiosità lo rendevano propenso ad indagare e a cimentarsi nei più svariati ambiti dell’arte, della scienza e della tecnica, pertanto in ultima analisi si può concludere affermando che per lui aveva valore tanto il progetto di un manufatto utile per le necessità della vita quotidiana quanto quello di una macchina da guerra, di un’architettura o di un monumento, così come lo studio della prospettiva o dell’anatomia umana. (Barbara Prosperi)