La villa medicea di Poggio a Caiano

La villa medicea di Poggio a Caiano, che fino al 1962 formava un Comune unico con Carmignano, fu costruita per volere di Lorenzo il Magnifico su progetto di Giuliano da Sangallo, architetto prediletto del principe fiorentino, su un poggio situato in prossimità del fiume Ombrone a metà strada tra i centri urbani di Firenze e Pistoia, e venne concepita fin dall’inizio come luogo di delizie ove ritemprarsi dalle fatiche del lavoro e dell’attività in campo politico. Iniziato intorno al 1480 in un terreno appartenuto alla casata pistoiese dei Cancellieri e poi da questa passato alle famiglie fiorentine degli Strozzi, dei Rucellai e infine dei Medici, l’edificio coniuga in maniera mirabile elementi desunti dall’architettura classica con altri caratteristici delle costruzioni rurali toscane, uniti a novità di epoca prettamente rinascimentale, ponendosi come modello imprescindibile per le dimore signorili italiane dei secoli a venire. Paradigma di simmetria, equilibrio ed armonia, la villa sorge su un ampio porticato che alternando pieni e vuoti mette gradualmente in comunicazione l’edificio con il paesaggio circostante, attuando una sapiente compenetrazione tra architettura e natura. Il giardino che la circonda è organizzato secondo un ordine che riflette la concezione dell’uomo espressa dell’Umanesimo, quella cioè di un essere razionale capace di plasmare il territorio secondo la sua volontà.

Al momento della morte del Magnifico (1492) e fino alla cacciata dei Medici da Firenze (1494) i lavori di costruzione della villa erano arrivati al completamento del basamento al pian terreno, completo del loggiato, mentre le murature del primo piano si erano arrestate al livello d’imposta della volta che oggi copre la grande sala centrale, affiancata da due ali laterali che conferiscono alla struttura la caratteristica forma ad H. La scalinata monumentale che all’esterno conduce al piano nobile, come attesta la lunetta dipinta da Giusto Utens nel 1599, in origine era costituita da una doppia rampa rettilinea e non curvilinea come quella odierna, realizzata nell’Ottocento su disegno dall’architetto Pasquale Poccianti; essa immette nel bel portico sormontato da uno stupendo frontone di foggia classicheggiante. Perseguendo l’ideale di un’armonica fusione tra architettura, scultura e pittura, l’edificio si arricchì progressivamente di opere d’arte ispirate al mondo antico, tra le quali l’affresco con la “Morte di Laocoonte” eseguito da Filippino Lippi sotto la loggia del primo piano nel 1493, gravemente danneggiato dall’esposizione agli agenti atmosferici, e il fregio in terracotta invetriata modellato per l’architrave del timpano da Andrea Sansovino, che alcuni storici dell’arte assegnano all’ultimo decennio del XV secolo ed altri in toto o in parte al secondo decennio del XVI; lungo più di 14 metri, caratterizzato dalla predominanza cromatica del bianco e del blu e composto da vari episodi che alludono forse a contenuti di carattere neoplatonico, allo stato attuale il fregio è ricoverato in una sala del primo piano, mentre sulla facciata è stata collocata una copia realizzata dalla manifattura Richard Ginori nel 1986.

I lavori ripresero nel 1513 per proseguire fino al 1520, in seguito al ritorno dei Medici nel capoluogo toscano, per iniziativa del figlio di Lorenzo, Giovanni, che nel frattempo era diventato papa con il nome di Leone X. Nonostante la scomparsa di Giuliano da Sangallo, deceduto nel 1516, la costruzione venne continuata secondo il suo progetto, e per decorare il salone centrale, che è intitolato proprio al primo pontefice della casata, furono convocati alcuni dei più talentuosi artisti fiorentini del momento, ovvero Andrea del Sarto, il Franciabigio e il Pontormo, che fra il 1519 e il 1521 affrescarono rispettivamente il “Tributo a Cesare”, il “Ritorno di Cicerone dall’esilio” e “Vertumno e Pomona”, in base ad un programma iconografico che oltre ad esaltare la vita bucolica e dell’età dell’oro intendeva anche celebrare i fasti medicei attraverso la rievocazione di episodi della storia romana. La morte di papa Leone però, avvenuta nel 1521, interruppe nuovamente i lavori della villa, la cui decorazione rimase incompleta per molti decenni, benché l’edificio venisse usato come luogo di delizie soprattutto durante il periodo estivo e fosse deputato ad accogliere le spose straniere dei principi di casa Medici, che prima di fare il loro ingresso ufficiale nella città del giglio qui incontravano i futuri mariti e ricevevano l’omaggio della nobiltà fiorentina, come successe ad esempio per Eleonora di Toledo, moglie di Cosimo I, per Giovanna d’Austria, moglie di Francesco I, per Cristina di Lorena, moglie di Ferdinando I, ed altre ancora. Fu proprio Francesco che tra il 1578 e il 1582 fece ultimare la decorazione ad affresco del salone di Leone X affidandone l’incarico ad Alessandro Allori, che dipinse “Siface di Numidia riceve Scipione”, “Il console Flaminio parla al consiglio degli Achei” ed “Ercole nel giardino delle Esperidi”.

Ai soggiorni di Francesco I e della seconda moglie nella villa sono legati al piano terra i locali che compongono l’appartamento di Bianca Cappello, noto per essere stato almeno in parte il teatro della misteriosa morte dei due coniugi, spentisi a poche ore di distanza l’uno dall’altra tra il 19 e il 20 ottobre del 1587, probabilmente per aver contratto la malaria, anche se per secoli si è ipotizzato un tentativo riuscito di avvelenamento da parte del cardinale Ferdinando, fratello minore di Francesco, che dopo il decesso di quest’ultimo ne ereditò il posto alla guida del granducato di Toscana. La stanza del camino, con i due poderosi telamoni e l’elegante scala aggettante, è sicuramente uno degli ambienti più belli e raffinati dell’edificio, nel quale è possibile percepire meglio che altrove l’atmosfera rinascimentale della costruzione, che nel tempo ha subito numerose trasformazioni che ne hanno spesso alterato l’aspetto primitivo. Al periodo di Francesco I risalgono anche alcune modifiche operate sulla sommità dell’edificio, a cui nel Seicento fu aggiunta la torretta con l’orologio, e sempre nel XVII secolo venne creato il piccolo teatro al pian terreno, voluto da Margherita Luisa d’Orléans, la capricciosa moglie di Cosimo III de’ Medici che per alcuni anni visse una sorte di confino nella residenza del Poggio. Il teatro fu utilizzato molto soprattutto dal figlio, il principe Ferdinando, che trasformò la villa in un centro culturale particolarmente attivo, e che nel 1698 incaricò il pittore Anton Domenico Gabbiani di affrescare il soffitto della cosiddetta Sala degli stucchi, che si trova subito dopo il Salone di Leone X e che un tempo veniva chiamata ed era adoperata come Sala dei pranzi; gli stucchi che fecero ribattezzare il locale vennero tuttavia rimossi nel 1812, perché considerati eccessivi, mentre si è perfettamente conservato il “Trionfo di Cosimo il Vecchio” che ricopre tutta la superficie del soffitto.

Dopo la scomparsa di Gian Gastone, ultimo granduca di Toscana della dinastia medicea deceduto nel 1337, la sorella Anna Maria Luisa (vedi “Anna Maria Luisa de’ Medici” di Barbara Prosperi) insieme allo Stato cedette tutte le proprietà della famiglia alla casata dei Lorena, che continuarono ad usare la villa di Poggio a Caiano come residenza estiva o come punto luogo di sosta durante i loro spostamenti verso Pistoia e Prato; essi si occuparono dei lavori necessari per la manutenzione periodica dell’edificio, tuttavia dispersero alcuni arredi e smantellarono il Gabinetto delle opere in piccolo, una stanza in cui Ferdinando aveva raccolto 174 quadri di piccole dimensioni dipinti da tanti diversi artisti, tra i quali figuravano Leonardo, Raffaello, Rubens e molti altri, e in occasione di un intervento di ristrutturazione sacrificarono anche l’“Allegoria delle arti” affrescata sul soffitto da Sebastiano Ricci, attivo fra il 1706 e il 1707 anche a Palazzo Pitti. A seguito della conquista napoleonica, nel 1799 la Toscana entrò nella sfera d’influenza francese, prima con il titolo di Regno d’Etruria e poi come dominio dello stesso impero transalpino, e dopo l’esilio dei Lorena prima la reggente Maria Luisa di Borbone, regina d’Etruria dal 1803 al 1807, e poi Elisa Baciocchi Bonaparte, sorella di Napoleone, granduchessa di Toscana dal 1809 al 1814, impressero alla villa una serie di modifiche in senso imperiale, monumentale e neoclassico, tra le quali si possono annoverare gli affreschi di Luigi Catani nella sala d’ingresso al piano nobile e in altri diciassette ambienti dell’edificio, alla cui esecuzione collaborarono anche altri artisti. Su commissione di Elisa Baciocchi nel 1811 l’architetto Giuseppe Manetti progettò nuovi giardini all’inglese e piccole costruzioni di stile neoclassico, che però vennero attuati soltanto in parte, come il ponte sull’Ombrone poco distante dalla villa che doveva servire per collegare la tenuta granducale con le cascine di Tavola, che ne costituivano un importante fondo agricolo. Elisa Baciocchi amò profondamente la residenza del Poggio, e durante i suoi soggiorni vi fece esibire tra i tanti i musicisti Étienne Nicolas Méhul, Gaspare Spontini, Giovanni Paisiello e Niccolò Paganini, con il quale sembra che la granduchessa intrecciasse una relazione amorosa.

Nel 1819, nel periodo della Restaurazione, tornarono alla guida della Toscana gli Asburgo-Lorena, che a Poggio a Caiano si dedicarono prevalentemente al parco della villa, con il completamento del giardino all’inglese e la creazione della Limonaia, progettata da Pasquale Poccianti. Dopo l’Unità d’Italia e la proclamazione di Firenze capitale, Vittorio Emanuele II di Savoia, che nutriva una forte passione per la caccia e per i cavalli, vi fece costruire nuove scuderie, in aggiunta a quelle edificate da Niccolò Tribolo sotto Cosimo I, e dispose che alcune stanze fossero ridecorate, come ad esempio la Sala dei biliardi al pian terreno; insieme al re e al suo seguito giunse al Poggio anche Rosa Vercellana, conosciuta anche come “la bella Rosina”, prima amante e poi moglie morganatica del sovrano, che proprio nella villa medicea trascorse alcuni dei momenti più felici della loro storia d’amore; al primo piano dell’edificio sono ancora perfettamente conservate e visitabili le loro camere da letto, con l’arredamento originale di quegli anni. Grazie ai Savoia arrivarono nella residenza di Poggio a Caiano tanti arredi pregiati provenienti dai palazzi reali di Torino, Piacenza, Parma, Bologna, Modena, Lucca, confluiti nel patrimonio del nuovo regno unitario. Nel 1919 la Real Casa donò la villa allo Stato italiano, mentre destinò le scuderie e le cascine che si estendevano e si estendono tuttora tra Poggio e Tavola all’Opera Nazionale Combattenti e Reduci (che in seguito le vendette a soggetti privati), provocando la frammentazione e la dispersione di un complesso architettonico e naturalistico di inestimabile valore. Fu in questo periodo che gli arredi e i parati collocati nel secondo piano dell’edificio finirono irrimediabilmente dispersi. Durante il secondo conflitto mondiale, particolarmente nel corso dei bombardamenti che ebbero luogo fra il 1943 e il 1944, la costruzione venne adoperata come rifugio in cui proteggere molte importanti opere d’arte provenienti sia da Firenze che da altre parti della Toscana, come le statue scolpite da Michelangelo per la Sagrestia Nuova in San Lorenzo, il Monumento equestre di Cosimo I de’ Medici realizzato dal Giambologna per la piazza della Signoria, i Quattro Mori eseguiti da Pietro Tacca per il monumento di piazza Micheli a Livorno ecc., inoltre servì anche come riparo per la popolazione sfollata che venne ricoverata negli ampi sotterranei della villa.

Nel 1984 l’edificio è diventato museo nazionale e a partire da quel momento è iniziata un’importante campagna di restauro, volta tra le altre cose anche a ripristinare l’antico aspetto interno della residenza, sulla scorta di un minuzioso quanto prezioso inventario risalente al 1911, attraverso il recupero di mobili, oggetti ed opere d’arte sparsi tra vari musei e depositi statali. Nel 2007 è stato aperto al pubblico il secondo piano della villa, dove grazie ad un progetto fortemente voluto dalla storica dell’arte Mina Gregori, una delle massime esperte a livello internazionale del Caravaggio e della pittura del Seicento, è stato allestito il Museo della natura morta, in cui hanno trovato un’adeguata sistemazione le grandi tele di Bartolomeo Bimbi e molti altri dipinti provenienti sia da altre ville medicee che dai depositi della Soprintendenza fiorentina, i quali hanno dato vita ad una raccolta unica al mondo che in totale supera le duecento tele. Due anni più tardi nelle scuderie del Tribolo, acquistate alla fine degli anni Settanta dal Comune di Poggio a Caiano, è stato inaugurato il Museo dedicato ad Ardengo Soffici e al Novecento italiano, che oltre ad esporre una collezione permanente ospita periodicamente anche mostre temporanee, mentre alcuni locali sono stati destinati ad accogliere la biblioteca municipale del centro mediceo. Nel 2013 la villa è entrata a far parte del patrimonio mondiale dell’Unesco. (Barbara Prosperi)

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