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Un libro di Daniela Nucci
E’ il Borgardo Buricchi che non ti aspetti. O semplicemente quello meno conosciuto, almeno finora: un giovane educato dalla cultura fascista agli ideali risorgimentali dell’amor per la patria e al sacrificio (anche con la morte), un giovane irrequieto, che dopo l’8 settembre 1943 entra in crisi, aspetta un po’ e poi fa il suo passo, unendosi ai partigiani. Ma senza abbracciare alcuna ideologia, ‘cane sciolto’.
Bogardo è il partigiano della Serra che, assieme al fratello ed altri sei amici, l’11 giugno 1944, a ventiquattro anni, perse la vita facendo saltare in aria a Poggio alla Malva un treno carico di esplosivi, con cui i tedeschi in ritirata pare che volessero minare le fabbriche di Prato ed altre città. Il gesto di quei giovani – morirono in quattro – viene ricordato ogni anno e la sempre più fervida scrittrice (e soprattutto segugio di archivi) Daniela Nucci, con la pensione dedita oramai quasi a tempo pieno alla scrittura, nel 2013 ha sfornato un nuovo libro, dedicato appunto al Bogardo uomo, poeta e scrittore.
Il pittore Enzo Faraoni, unico superstite in vita del gruppo autore del sabotaggio, nell’appendice squarcia qualche velo sul Buricchi partigiano. “Era pieno di dubbi – ricorda – , sconvolto dalle voci sulle intenzioni di uccidere Gentile e perfino Soffici. La sua era stata un’educazione cristiana, letteraria e non politica”. “Il sabotaggio fu ideato da Bogardo e me – racconta ancora – Alle spalle non ci fu l’organizzazione di nessun partito”. I capi partigiani della Catena furono solo informati e procurarono i mezzi per l’esplosione. “Fu un gesto ispirato da spirito libertario e dal gusto dell’avventura – conclude-, il tutto coniugato con una buona dose di incoscienza giovanile”. Il misterioso diario che si dice che il giovane Buricchi avesse tenuto in quei mesi di macchia è scomparso. “Alcuni dicono che l’avesse don Benvenuto Matteucci e che poi l’avesse distrutto – racconta Daniela Nucci – , altri Alberto Moretti. Solo ipotesi”.
C’è tanto invece su tutto il periodo precedente. Ed è a quello che il libro si dedica. “Era un grafomane. Scriveva di tutto e di continuo” racconta Nucci, dopo aver visitato gli archivi di don Matteucci e di Goffredo Borchi ed esser stata perfino in un paesino del Mugello, Suvignano, dove Bogardo per tre mesi aveva insegnato da maestro. Scriveva lettere, articoli, poesie, pagine di narrativa e diari: tanti diari. Ampiamente riprodotti nel libro. “Era ossessionato – prosegue – dal senso del martirio e della morte, ispirato in questo dalla cultura fascista a cui era stato educato e in cui aveva creduto”. Attratto alla fine dal marxismo, ma per una curiosità soprattutto intellettuale: “diviso tra la forte educazione religiosa che aveva ricevuto (era stato anche un seminario: un ‘esperienza negativa) e le pulsioni per la carne, violente come il sentimento per la patria, che cercava di placare nell’amore a pagamento vista la timidezza palese che lo bloccava nei confronti di altre donne”. E così “faceva peccato e si pentiva”, con un sentimento di inadeguatezza che si è portato sempre dentro, alla ricerca di un impossibile da trovare. (w.f.)