Essendo nato fuori dal matrimonio, per la sua condizione di illegittimo – o di bastardo, come si diceva normalmente all’epoca e si è continuato a dire correntemente per molto tempo – a Leonardo erano preclusi gli studi accademici, pertanto per lui si prospettava un’esistenza anonima, da spendere in un lavoro artigianale o in qualche mansione di poco conto, senza particolari prospettive di soddisfazione e di notorietà. Ciò nonostante al bambino fu data la possibilità di studiare con uno o più precettori privati, che lo istruirono nelle principali materie didattiche, tra le quali vengono ricordate la grammatica, l’aritmetica e la musica. Sappiamo dalla testimonianza di Giorgio Vasari che il fanciullo disponeva di una spiccata intelligenza e di una viva curiosità, che lo portavano a fare domande, a informarsi, a voler conoscere, tanto che l’autore delle “Vite” scrive: “Ecco nell’abbaco egli in pochi mesi ch’e’ v’attese, fece tanto acquisto, che movendo di continuo dubbi e difficultà al maestro che gl’insegnava, bene spesso lo confondeva”. Benché si tramandi che fosse ambidestro, in grado cioè di adoperare con disinvoltura entrambe le mani, evidenziò fin da piccolo una netta predilezione per la sinistra, e sebbene in passato questa caratteristica venisse generalmente corretta in età precoce (si diceva infatti che la mancina fosse la mano del diavolo e che come tale non andasse utilizzata) nessuno si prese la briga di eradicarla del tutto, forse perché in famiglia era convinzione comune che non avrebbe avuto la possibilità di esercitare un mestiere nel quale la scrittura avrebbe avuto un ruolo di rilievo. Per lo stesso motivo non venne iniziato allo studio del latino, e da adulto percepì questa carenza come una grave lacuna da colmare (è famoso il passo in cui in uno dei suoi manoscritti si definisce “omo sanza lettere”, una condizione a cui cercò di porre rimedio con l’acquisizione di un numero di libri considerevole per il suo tempo, con lo studio privato e con la frequentazione di eminenti intellettuali dell’epoca).
Ad un certo punto della sua vita ser Piero dovette porsi il problema di quale tipo di professione avrebbe potuto esercitare il figliolo, e avendo notato la sua predisposizione per le arti figurative selezionò una serie di suoi disegni e li sottopose all’attenzione di Andrea del Verrocchio, uno dei più rinomati artisti di Firenze, a capo della più fiorente bottega cittadina del periodo, fornitore dei Medici nonché amico e probabilmente cliente del notaio. Anche se si trattava di una materia preziosa da usare con parsimonia, appare ovvio che nella casa di un uomo di legge la carta non dovesse mancare, per cui è facile intuire che Leonardo abbia potuto dare agevolmente seguito alla sua inclinazione per il disegno già in ambito domestico, inoltre in precedenza abbiamo già avuto modo di sottolineare che aveva certamente sviluppato una discreta familiarità con l’arte di modellare l’argilla durante i periodi trascorsi nel borgo di Bacchereto, presso Carmignano, dove la famiglia della nonna paterna, monna Lucia, possedeva una fornace. Esaminati i disegni, il maestro decise di accettare subito il ragazzo nella sua bottega, e così ebbe inizio l’apprendistato di Leonardo, che intanto si era trasferito da Vinci a Firenze, dove già da tempo abitava ser Piero, in una data che è stata lungamente dibattuta ma che non è stato ancora possibile determinare con precisione. Accolto dal Verrocchio, l’adolescente cominciò a vivere sotto il tetto della sua casa in via dell’Agnolo, che era sia abitazione che studio, e a fare vita comune con gli altri discepoli dell’artista, tra i quali figuravano pittori del calibro di Sandro Botticelli, Pietro Perugino, Domenico Ghirlandaio, Francesco Botticini, Lorenzo di Credi, Luca Signorelli, Bartolomeo della Gatta, alcuni dei quali avevano fatto il loro ingresso nella bottega per imparare i segreti dell’arte ed altri per affinare la propria formazione professionale.
Una bottega all’epoca era molto diversa da quello che possiamo immaginare oggi pensando ad un atelier contemporaneo, e si avvicinava certo più ad un’officina che ad uno studio. Oltre a realizzare capolavori di pittura e scultura (ambito, quest’ultimo, nel quale eccelleva con straordinari livelli di virtuosismo tecnico, soprattutto per quanto riguardava la pratica della fusione, della rinettatura e della cesellatura del bronzo), Andrea del Verrocchio riforniva la città di Firenze di oggetti di ogni tipo, dai manufatti di piccolo artigianato alle grandi opere di ingegneria, così che dalla sua impresa uscivano stendardi da parata, da processione o da ostensione e candelabri, piccoli tabernacoli destinati alla devozione privata e cassoni nuziali, che si alternavano alle grandi commissioni che gli pervenivano dalle più importanti famiglie e istituzioni cittadine, come il monumento funebre a Giovanni e Piero de’ Medici per la basilica di San Lorenzo, il gruppo scultoreo dell’“Incredulità di San Tommaso” per la nicchia dedicata al Tribunale della Mercanzia in Orsanmichele, o la sfera di bronzo dorato per la lanterna della cupola di Santa Maria del Fiore. Nella sua bottega straordinariamente organizzata, laboriosa, efficiente e ricca di collaboratori si spaziava insomma dalla pittura alla decorazione della ceramica, dall’oreficeria alla scultura, dalla carpenteria e falegnameria alla lavorazione del ferro battuto e dei materiali lapidei, in una continua contaminazione di arti, mestieri e saperi che costituivano un eccezionale bagaglio tecnico e culturale a disposizione degli allievi che si formavano in quell’ambiente, dove si apprendevano e si mettevano in pratica tra le altri nozioni di architettura, ingegneria, fisica ed altro ancora.
Sotto la sapiente guida del Verrocchio Leonardo maturò una eccellente preparazione artistica, acquisendo le basi necessarie per esercitare “non solo una professione – come precisa in maniera assai pertinente il Vasari –, ma tutte quelle ove il disegno si interveniva” (cioè la pittura, la scultura e l’architettura con le loro varie derivazioni), e secondo quanto riferito ancora dall’autore delle “Vite” progredì talmente tanto da superare il maestro fino al punto che questi decise di rinunciare a dipingere per sempre. “Acconciossi dunque – racconta nella biografia dedicata al genio di Vinci l’aretino –, come è detto, per via di ser Piero, nella sua fanciullezza a l’arte con Andrea del Verrocchio, il quale, faccendo una tavola dove San Giovanni battezzava Cristo, Lionardo lavorò un angelo, che teneva alcune vesti; e benché fosse giovanetto, lo condusse di tal maniera, che molto meglio de le figure d’Andrea stava l’angelo di Lionardo. Il che fu cagione ch’Andrea mai più non volle toccar colori, sdegnatosi che un fanciullo ne sapesse più di lui”. Si tratta con ogni probabilità di una leggenda creata a posteriori per esaltare la grandezza di Leonardo, ma di sicuro rende bene l’idea di quanto il giovane fu capace di recepire dal Verrocchio, guadagnandogli la consapevolezza e la fierezza dei progressi fatti, tanto che più tardi in uno dei suoi taccuini scrisse con evidenti implicazioni biografiche: “Tristo è quel discepolo che non avanza il suo maestro”.
Forse Leonardo trovò nella bottega di Andrea la famiglia di cui aveva bisogno; nel momento in cui iniziavano l’alunnato gli allievi di norma andavano a vivere con il maestro, occupando gli ambienti adibiti ad abitazione privata dell’edificio che ospitava anche lo studio (solitamente questo si trovava a piano terra, e si sviluppava spesso attorno ad un cortile, mentre le camere si disponevano al primo piano) e dividendo la vita quotidiana con i condiscepoli; per alcuni anni il giovane si trovò dunque a stretto contatto con Botticelli, Perugino, Lorenzo di Credi, Botticini ed altri ancora, con alcuni dei quali sviluppò anche dei solidi vincoli di amicizia, ma soprattutto si legò in maniera fortissima al Verrocchio, da cui non riuscì a staccarsi per lungo tempo, continuando a rimanere ancorato alla sua bottega anche dopo aver conseguito la qualifica di maestro (sembra che nel 1472 risultasse già iscritto alla gilda di San Luca, all’interno della corporazione dei medici e degli speziali di Firenze, a cui i pittori erano affiliati perché all’epoca i colori si acquistavano nelle farmacie, in forma di minerali da macinare e lavorare). Di quel periodo in riferimento a Leonardo ci rimangono le tracce di diversi interventi realizzati su alcune opere firmate dal maestro, tra cui il più noto è certamente quello operato sul già citato “Battesimo di Cristo” della Galleria degli Uffizi, per il quale il giovane dipinse la bellissima testa dell’angelo all’estrema sinistra e parte del paesaggio, ed alcuni splendidi disegni, tra i quali spiccano gli studi di panneggio eseguiti su dei modelli in terracotta, che venivano rivestiti di panni bagnati e cosparsi di terra affinché la stoffa aderisse bene ai manichini e le pieghe acquisissero maggiore pesantezza e consistenza.
Anche tenendo in debita considerazione il fatto che gli allievi più dotati restavano spesso ad offrire il loro contributo alle imprese della bottega del maestro, non si riesce a comprendere l’esatto motivo per il quale Leonardo non riuscisse a svincolarsi da Andrea – per affetto, per insicurezza o per altre ragioni ancora –, comunque sia è certo che seguitò a collaborare alle opere realizzate nell’officina di via dell’Agnolo almeno fino ai venticinque anni, un’età di tutto rispetto per l’epoca, affinando sempre più le sue competenze e le sue capacità prima di debuttare in un lavoro autonomo con una commissione personale. (Barbara Prosperi)
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